San Giorgio al Velabro, l'antica chiesa del giovedì dopo le Ceneri
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
San Giorgio al Velabro sorge a Roma nel Rione Ripa, subito dietro l’arco quadrifronte detto di Giano, ai margini del Foro Boario, antico mercato del bestiame, a ridosso del Palatino e accanto all’Arco degli Argentari. In questa zona viene individuato il punto in cui la lupa avrebbe trovato i gemelli Romolo e Remo.
La chiesa è costruita sui resti di una casa romana, trasformata in diaconia da Gregorio Magno, quindi fondata da Papa Leone II che la intitolò ai primi martiri san Giorgio e san Sebastiano nel VII secolo. Nell’VIII secolo, Gregorio II la istituì stazione quaresimale del giovedì dopo le Ceneri. Sempre entro l’VIII secolo papa Zaccaria, proveniente da una famiglia calabrese di origine greca, vi portò dalla Cappadocia la testa del martire Giorgio.
Nella prima metà dell’IX secolo, con Gregorio IV la chiesa assunse una forma compiuta e, all’edificio di culto propriamente detto, fu annesso un cenobio ove risiedevano i monaci, mentre la diaconia fu destinata alle funzioni assistenziali. Nel XIII secolo, diventata collegiata, officiata dal clero diocesano, ricevette importanti lavori sulla facciata, dove fu aperto l’oculo e aggiunto il portico, adornato dalla trabeazione con l’iscrizione a caratteri gotici che ne ricorda il donatore, il priore Stefano Stella. Il campanile romanico invece è precedente al portico e si data alla seconda metà del XII secolo.
Nei secoli la chiesa ha attraversato successivi restauri e momenti di degrado e di abbandono, finché l’architetto Antonio Muñoz negli anni Venti del secolo scorso ha condotto un profondo restauro e il ripristino delle antiche forme romaniche.
Nel 1939 la chiesa è stata affidata all'Ordine dei Canonici Regolari della Santa Croce. Nella notte tra il 28 e il 29 luglio del 1993 fu bersaglio di un attentato con un’autobomba che provocò ingenti danni in modo particolare alla facciata, richiedendo restauri terminati entro il 1996.
L’interno
L’interno è a tre navate, scandito da colonne e capitelli di spoglio, con l’altare sopraelevato e il ciborio in marmo sotto il quale si apre la fenestella confessionis, la finestra che permetteva ai fedeli di vedere il sepolcro o le reliquie dei martiri senza tuttavia poterli toccare. L’affresco che campeggia nel catino absidale, commissionato nel 1296 dal cardinale Pietro Peregrossi, è stato a lungo erroneamente attribuito a Giotto, ma è convincentemente opera del Cavallini o tutt’al più della sua scuola. Cristo campeggia al centro: in una mano tiene il rotolo, mentre la destra è sollevata nel gesto tipico di chi sta parlando, l’adlocutio, come nelle statue degli oratori romani. Ai lati Maria e san Pietro e ancora san Giorgio, a piedi accanto al cavallo e con il vessillo crociato, mentre san Sebastiano è vestito di abiti militari e porta lo scudo, segno che ancora nel XIII secolo era viva, in questa basilica, la devozione ad entrambi i martiri.
Tra tutte le tracce che testimoniano il passaggio nella chiesa di diversi Papi e dei sessantasette cardinali diaconi, vi sono quelle di John Henry Newman, cardinale diacono di San Giorgio dal 1879 al 1890, anno della sua morte, e proclamato santo da Papa Francesco nel 2019.
Le ragioni del santo
La zona dove sorge la chiesa di San Giorgio fin dall’antichità è sempre stata molto frequentata: crocevia di strade, zona di mercati, luogo di incontro di popolazioni diverse. La derivazione toponomastica di Velabro, dal latino velabrum, è discorde nelle fonti antiche e in epoca medievale corrotta in vellum aureum, velo d’oro. Alcune fonti fanno risalire il nome all’originario stato paludoso della zona, poi bonificata con la costruzione della Cloaca Maxima alla fine del VI sec. a.C., mentre altre convergono nella sua funzione di centro viario per terra e fluviale, come sembra alludere Terenzio Varrone (De Ling. 5,43-44) che fa derivare il nome da velaturam facere, traghettare, oppure vehendo, trasportando. Questa ultima versione, più che spiegare in modo convincente l’origine del toponimo, testimonia la vocazione mercantile della zona, sempre viva nel tempo. In ogni caso esalta la ragione di una devozione importata - san Giorgio non fu mai a Roma - in quest’area altamente frequentata da mercanti levantini e funzionari dell’Impero di Bisanzio.
San Giorgio, il grande martire
Santo megalomartire di origine cappadoce, venerato in tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi, introdotto nel martirologio Geronimiano già dalla metà del V secolo, secondo alcune fonti sarebbe stato condannato a morte per decapitazione da Diocleziano nel 301. È associato a san Sebastiano, entrambi soldati di Cristo, l’uno di ambiente orientale e il secondo romano. Inoltre, il generale bizantino Belisario avrebbe affidato a san Giorgio la protezione, oltre che della chiesa al Velabro, anche della Porta San Sebastiano, sulla Via Appia e lungo le mura di Aureliano, nei pressi delle catacombe del santo narbonense. Nell’Islam è considerato profeta. San Giorgio ha riscosso grande fortuna nell’arte e nella letteratura, raffigurato come giovane soldato a cavallo, nell’atto di trafiggere il drago-demonio. Una figura affascinante, nel quale l’ideale cavalleresco medievale si è identificato in pieno, specie come trionfatore del bene sul male, chiamato sia nel mondo occidentale, sia in quello bizantino come il “grande martire”, il “trionfatore”. La sua festa liturgica ricorre nel giorno 23 aprile.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui