I vescovi del Perù: fermare le violenze contro i difensori dei popoli indigeni
Marco Guerra - Città del Vaticano
L’America Latina si conferma come la regione con il più elevato numero di vittime tra i difensori dei diritti umani specie nei popoli indigeni. In due giorni due casi: Estela Casanto Mauricio, del popolo Ashaninka, è la nona ad essere uccisa dall'inizio della pandemia in Perù, e come lei, in Colombia, María Bernarda Juajibioy una dirigente indigena, attuale sindaco del Resguardo del Cabildo Camentzá Biyá, che fa parte delle 15 popolazioni indigene del dipartimento di Putumayo, è stata uccisa ieri da un commando armato e con lei anche la sua nipotina di un anno e mezzo.
”Di fronte alla grave situazione di minacce e violenze contro i popoli indigeni che difendono il loro territorio, i vescovi dell’Amazzonia peruviana tornano ad esprimere la loro “profonda indignazione” contro queste ingiustizie e la totale solidarietà “alle famiglie, ai popoli indigeni e alle loro organizzazioni rappresentative”.
Una lunga scia di omicidi,servono più sforzi da parte dello Stato
Con una nota diffusa ieri, i presuli peruviani ricordano che solo nell’ultimo anno, segnato dalla pandemia Covid-19, che colpisce particolarmente questi popoli, sono state assassinate sette persone impegnate nella difesa dei loro territori e delle loro foreste, la maggioranza delle quali indigene: Estela Casanto, Herasmo García, Yenes Ríos, Arbildo Meléndez, Gonzalo Pio, Lorenzo Wampa, e Roberto Pacheco. “Attualmente, ci sono altri che hanno subito minacce, attacchi e aggressioni a causa del loro lavoro in difesa dell'ecosistema, nelle comunità native di tutta l'Amazzonia – si legge ancora nel comunicato -. Il recente assassinio di Estela Casanto, leader della comunità nativa di Shankivironi, è un tragico esempio della mancanza di protezione in cui si trovano queste persone”.
I vescovi richiamano quindi le autorità alle loro responsabilità: “La situazione dimostra che gli sforzi fatti dallo Stato sono stati del tutto insufficienti per fornire protezione e garantire la sicurezza giuridica di questi territori, in conformità con le disposizioni delle leggi e degli accordi internazionali ratificati dallo Stato peruviano. L'attuale quadro giuridico che protegge queste persone funziona solo come una procedura di protocollo che consiste in un Registro dei difensori”. Molte poi le minacce indicate dagli esponenti della Chiesa locale che denunciano l’accaparramento di terre, l'espansione del narcotraffico e delle piantagioni di monocoltura, soprattutto di palma da olio, in varie parti dell'Amazzonia. Tutto questo avviene nella crescente corruzione dei funzionari pubblici e con il trattamento discriminatorio dei popoli indigeni che chiedono i loro titoli di proprietà. In questo scenario è aumentata l’insicurezza degli attivisti che difendono i territori dei popoli indigeni.
Le richieste dei presuli
Alla luce di questa drammatica situazione, i presuli esortano le autorità del governo nazionale e dei governi regionali ad intraprendere una serie di azioni, tra cui rafforzare il processo di individuazione e riconoscimento delle comunità indigene; porre fine alla corruzione dei funzionari che favoriscono l’espropriazione di terre e indeboliscono il lavoro dei difensori civici contro le mafie; progettare un piano di sorveglianza sociale e territoriale per proteggere le comunità indigene dalle reti del narcotraffico; effettuare la gestione pubblica dallo Stato, con un approccio interculturale, rispettando le realtà culturali delle popolazioni indigene e i loro diritti per porre fine alle discriminazioni.
Le parole del Papa
Nel gennaio 2018 Papa Francesco nel suo Viaggio Apostolico in Perù ha incontrato alcune popolazioni indigene a Puerto Madonado e ha evidenziato che “il riconoscimento dei popoli indigeni - che non possono mai essere considerati una minoranza, ma autentici interlocutori del dialogo - ci ricorda che non siamo i padroni assoluti del creato” e che dobbiamo apprezzare “il contributo essenziale che apportano alla società nel suo insieme”. La Santa Sede è inoltre impegnata a sostenere i diritti dei popoli indigeni presso le Nazioni Unite.
Rosti: Amazzonia al centro di diversi interessi
“La denuncia dei vescovi del Perù è una sintesi di tutto quello che stanno vivendo molte popolazioni indigene in America latina”, così a Vatican News Marzia Rosti, docente di Storia e istituzioni dell’America Latina all’Università Statale di Milano. “Il Perù riconosce i loro diritti all’interno della Costituzione e poi ha firmato una serie convenzioni internazionali volte a tutelare i popoli indigeni che dovrebbero essere consultati su tutti i progetti che riguardano i loro territori – aggiunge Rosti – ma nonostante questo quadro normativo, il caso del Perù è emblematico dell’intreccio di diversi interessi che vanno a danno di queste popolazioni”.
Come esperta dell’area, Rosti si sofferma sulle principali minacce che gravano sulle popolazioni dell’Amazzonia peruviana: “La zona è ricca di risorse naturali e osserviamo la penetrazione della criminalità organizzata che sfrutta le miniere illegali di oro e non si ferma davanti alle popolazioni di questi territori. Poi abbiamo il fenomeno dell’accaparramento delle terre per le culture intensive e anche in questo caso nessuno va a chiedere alle comunità indigene, piuttosto queste vengono sgomberate con la forza”.
Cresce la violenza contro gli attivisti
La docente della Statale spiega che gli indigeni hanno risposto a queste forme di penetrazione organizzandosi attorno ad alcuni leader delle loro comunità e ad altri attivisti non comunitari ma comunque impegnati nella difesa dei territori. Questi individui sono sempre più oggetto di minacce e spesso perdono la vita nella difesa delle comunità indigene. “Gli ultimi report che ho letto sui difensori dei diritti umani – sottolinea – indicano l’America Latina come la regione con il più elevato numero di vittime e già da qualche anno era considerata l’area più pericolosa per i difensori dei diritti umani”.
Ultimo aggiornamento 20.03.21.ore 09.30
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