La basilica di Santa Prassede all'Esquilino, dove incontenibile è la fede
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
Questo è un luogo magnifico, scintillante di mosaici ma ancor più delle testimonianze di santi martiri. Si entra in una chiesa che, nonostante abbia subito profondi rimaneggiamenti nel corso dei secoli, conserva tutta la genuinità delle origini. E forse in nessun altro luogo si sente il sentimento dirompente di speranza gloriosa che dovette accompagnare i primi cristiani. Pronti a tutto pur di testimoniare e vivere una fede diversa da tutte le altre mai apparse prima sulla terra. Una fede che parlava agli ultimi, che rendeva liberi anche se schiavi. Di una fede che crede in un Dio che si è fatto uomo e ha dato la sua vita per tutti. Un messaggio nuovo, se pensiamo alla società del tempo, talmente nuovo da essere sempre più avanti di ogni storia. Compresa quella che stiamo vivendo in questo momento.
Le donne del primo cristianesimo
Le donne erano protagoniste: fondarono chiese, viaggiarono e portarono dalla Terra Santa le reliquie più sacre e preziose, difesero i perseguitati e li protessero, convertirono i loro mariti e i loro figli. Sicuramente anche perché il Cristo non fece differenza e parlò a tutti senza distinzione di genere o ceto sociale. Questo messaggio rivoluzionario fu recepito soprattutto dalle donne, che non si sentirono più subalterne di un sistema settario, ma finalmente persone.
L’impero romano ha fondato la sua potenza soprattutto su una gerarchia che vedeva negli ultimi un bacino immenso da sfruttare. Carne da macello per costruire grandi opere o per avanzare in guerra o semplicemente per servire nelle case dei ricchi. E fu il seme del rifiuto dell’ingiustizia ad attrarre al cristianesimo anche nobili patrizi. Prassede e la sua famiglia furono tra questi.
Su di loro agì l’incontro con Pietro e Paolo, due stranieri arrivati da lontano, con un bagaglio fatto solo di fede e parole ripiene di una speranza mai conosciuta prima in una società in disfacimento, dove i confini immensi dell’impero rivelavano risvolti claustrofobici.
Santa Prassede, giovane piena di misericordia
Prassede, tradizionalmente vissuta nel II secolo, durante l’impero di Antonino Pio, si adoperò per accogliere e nascondere i cristiani perseguitati, dando loro, nel caso, sepoltura. Una delle iconografie che ce la fanno immediatamente riconoscere è la fanciulla in ginocchio, china sul pavimento, mentre asciuga con una spugna il sangue dei martiri che secondo la tradizione fu raccolto in un pozzo ora al centro della chiesa, ricoperto da un disco di porfido del pavimento cosmatesco. La sua vita è raccontata assieme a quelle della sorella e del padre Pudente nei Leggendari di V e VI secolo e poi molto diffusi nel medioevo, come abbiamo già accennato quando abbiamo parlato della basilica di Santa Pudenziana. Prassede sarebbe morta non direttamente per martirio, ma perché, sopraffatta dall'orrore delle persecuzioni, chiese e ottenne di morire.
Le origini
Il titulus Praexidis, che da lei prende il nome, è attestato nel 491 in un epitaffio nel cimitero di sant’Ippolito sulla via Tiburtina. La chiesa ebbe miglioramenti nell’VIII secolo con papa Adriano I e nel IX, con Pasquale I, una completa riedificazione e la costruzione di un monastero che all’inizio fu retto da monaci greci e dal 1198 passò ai monaci della congregazione vallombrosana che tuttora la reggono.
L'esterno della basilica
L'accesso principale alla chiesa è da via San Martino ai Monti, il tratto superiore dell'antico clivus Suburanus, attraverso un protiro romanico che immette a due rampe di scale che salgono fino al cortile quadrangolare, dominato dalla facciata a mattoni della basilica, restaurata tra il 1937 e il 1938 con lavori che hanno cercato di ripristinare le forme più antiche risalenti all’epoca di Pasquale I, che erano state modificate in epoca barocca.
La presenza di san Carlo Borromeo
Il rifacimento della scalinata e del portale sono stati voluti da san Carlo Borromeo, cardinale presbitero di Santa Prassede dal 1564 al 1584, che per la chiesa promosse diversi restauri e rifacimenti, oltre che lasciare traccia del proprio operato, soprattutto nella sua opera di assistenza ai poveri e malati.
L'interno della basilica
L’interno, a tre navate divise da colonne, alcune delle quali in seguito rinforzate da pilastri, imita il primo impianto della basilica di San Pietro, modello per antonomasia. Il ciborio di epoca barocca, del 1730, costruito riutilizzando le colonne del precedente di IX secolo, copre in parte la vista dei mosaici dell’abside.
Il catino absidale è decorato con la grande figura di Cristo al centro tra Pietro e Paolo. Dietro la Sua figura si distendono nuvole striate di rosso. Seguono a sinistra santa Prassede e papa Pasquale I con il modellino della chiesa tra le mani e il nimbo quadrato dei viventi, mentre a destra vi sono le figure di santa Pudenziana e un diacono non ben identificato. La scena è inquadrata tra due palme, simbolo del paradiso e su quella di sinistra è appollaiata una fenice, animale della rinascita.
La cripta
Sotto al presbiterio vi è la cripta, con alcuni sarcofagi dei quali due con iscrizioni che attesterebbero la sepoltura di santa Prassede e santa Pudenziana. Questo ambiente è stato totalmente ristrutturato tra il 1728 e il 1743. In questo periodo fu costruito l’altare decorato con un paliotto cosmatesco su cui vi è un affresco del XVIII secolo, copia di uno più antico del XIII, raffigurante la Vergine e santa Pudenziana.
Archi dell'Apocalisse
Le decorazioni dell'arco absidale fanno da specchio a quelle dell'arco trionfale, come se dialogassero tra loro attraverso un cifrario di simboli, a rappresentare in modo figurato alcuni passi dell’Apocalisse: 4-5; 1,20 per il primo e 21; 7,4; 14,1 per il secondo.
Il sacello di Zenone, giardino del paradiso
Autentico tesoro della basilica, il sacello di San Zenone è un oratorio aperto lungo la navata destra completamente tappezzato di mosaici che ci immergono in un’atmosfera orientale. In effetti si tratta di uno degli esempi più importanti di arte bizantina a Roma. La sua pianta cruciforme, ispirata a quella dei mausolei, fu fatta costruire da papa Pasquale I per la tomba della madre Teodora.
Sul portale d’ingresso troneggia un’urna cineraria ricavata da un vaso antico in marmo, circondato da una doppia fascia decorata da tondi a mosaico con i volti di Cristo e della Vergine, accompagnati il primo dagli Apostoli e la seconda da due santi e vergini. Concludono in alto sui lati Mosè ed Elia. Nei riquadri sull'imposta del finto arco ci sono mosaici moderni raffiguranti papa Pasquale I e forse il suo successore Eugenio II.
All’interno, anche nella penombra riluce il fondo d’oro dei mosaici. Tra questi, sulla parete dell’altare, in una nicchia, la Vergine con il Bambino recante un cartiglio con la scritta Ego sum lux, io sono la luce. Ai lati le figure delle due sorelle Prassede e Pudenziana.
Il soffitto è il centro della narrazione dalla quale si dipanano le figurazioni distribuite nelle pareti. Nel tondo il volto di Cristo, sostenuto da quattro angeli che sembrano essersi appena staccati dai capitelli dorati degli angoli.
La colonna della flagellazione
E dal sacello si accede a una stanzetta dove dentro un reliquiario in bronzo dorato del 1898, opera dell’artista, esponente dell’Art Nouveau, Duilio Cambellotti, è custodita una colonnina alta 63 cm, portata dal cardinale Giovanni Colonna da Gerusalemme, durante la V Crociata, nel 1223. La tradizione riconosce in questa colonna bianca e nera quella alla quale fu legato e flagellato Gesù Cristo.
Bernini e Arnolfo di Cambio
Prima di arrivare alla cappella del Crocifisso, possiamo scorgere lungo la navata destra Il monumento funebre a Giovanni Battista Santoni, maggiordomo di Papa Sisto V, datato tra il 1613 e il 1616, con il busto attribuito al Bernini che l’avrebbe realizzato quando aveva sedici anni, la sua prima scultura.
E nella cappella del Crocifisso, fatta allestire da san Carlo Borromeo, vi è la raffinatissima tomba del cardinale Pantaleone Anchier, attribuito ad Arnolfo di Cambio tra il 1286 e il 1290.
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