Un digiuno a staffetta per chiedere solidarietà e giustizia per i migranti
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Davanti alla tragedia dei morti nel Mediterraneo, ormai da tre anni va vanti il Digiuno di Giustizia in Solidarietà con i Migranti, ogni primo mercoledì del mese davanti al parlamento italiano. Ora, il Cantiere Casa Comune, espressione dei missionari comboniani, avvia Fame e sete di giustizia, un digiuno a staffetta a partire da lunedì della Settimana Santa, il 29 marzo, iniziativa alla quale tutti, credenti e non, sono invitati ad aderire per far sentire l’indignazione e la protesta di fronte alle continue violazioni dei diritti di chi migra.
Riconoscere il volto di Gesù nei migranti
Si tratta di un gesto radicale e non violento di difesa della dignità dei migranti, spiegano gli organizzatori dell’evento, presentato oggi online. La scelta del 29 marzo nasce da una forte riflessione: così come durante la Settimana Santa si celebrano la passione, la morte e la resurrezione di Gesù, i migranti vivono la loro settimana santa tutto l’anno e nei loro volti, come ebbe a scrivere il Papa nel messaggio per la 106.ma Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, si riconosce il volto di Gesù che percorre la Via Crucis con la croce sulle spalle. Ma per tanti migranti la settimana finisce con il Venerdì Santo, per loro non esiste la resurrezione, ma esiste la morte: nel Mediterraneo, alla frontiera balcanica, al confine tra Messico e Stati Uniti. “Questo digiuno - indica il comboniano padre Alex Zanotelli iniziatore del Digiuno di Giustizia in Solidarietà con i Migranti - è per condividere quello di milioni di persone che fanno la fame, è un gesto di protesta contro un sistema profondamente ingiusto, che permette al 10 per cento della popolazione mondiale di mangiare lautamente il 90 per cento dei beni di questo pianeta”. I migranti sono disperati che bussano alle porte dell’Italia, che fa parte di un’Europa che di questi migranti non ne vuole sapere. “Il Mediterraneo - prosegue Zanotelli - è diventato un mar nero, un cimitero dei volti oscuri che bussavano alla nostra porta ma che sono periti in questo mare”. Le migrazioni, secondo il cardinale arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, non sono una emergenza, quanto piuttosto un fenomeno strutturale nella vita del mondo. È sull’immigrazione - avverte il porporato - che si gioca il futuro e si misura la vitalità della società e della Chiesa”:
R. – Il brutto è che ci siamo abituati alle morti e le morti non ci dicono più niente, ma le contiamo. C'è un mare che è diventato un cimitero liquido, ma le morti non ci toccano e quindi ci ritroviamo con una coscienza in qualche modo falsa, perché ci sentiamo buoni, ma in effetti non lo siamo. Noi degli immigrati ne abbiamo fatto una categoria e ci siamo dimenticati che sono uomini, donne e bambini, forse dovremmo ricordare che quando c'è un uomo che muore ingiustamente ne siamo un po' tutti colpevoli, ma noi abbiamo le mani pulite, perché noi, al limite, desideriamo che se ne tornino a casa loro, come se questa fosse la soluzione migliore: tornare a casa loro e tornare in quella povertà che è invivibile, tornare a casa loro e ripassare dalla Libia dove ci sono le torture, tornare a casa loro è andare incontro alla morte per molti, questa è la fotografia.
Lei ha detto: ci crediamo buoni ma non lo siamo. Ci stiamo avviando verso il tempo della Settimana Santa quando i cristiani guardano al Crocifisso …
R. – È facile che ci si commuova davanti ad un crocifisso di legno o di gesso, ma non siamo capaci di commuoverci davanti al Cristo vivente, alla carne sanguinante di Cristo che incontriamo. Siamo riusciti a sentirci a posto, perché quando vediamo il pane che si spezza sull'altare, noi diciamo quello è Gesù, però poi, quando uscendo, lungo le scale della chiesa, lo vediamo seduto con la mano tesa, ecco quello un poveraccio non è più il Gesù di prima, quando in effetti e quel pane e quel povero hanno la stessa identità. La nostra fede è diventata una fede facile, una fede che non si vuole sporcare, vissuta ad occhi chiusi per non essere disturbati nella preghiera, ma a furia di tenere gli occhi chiusi, non vediamo più niente e non sappiamo più che cosa presentare nella preghiera.
Cosa bisogna dire alla coscienza della politica italiana, perlopiù alla coscienza della politica europea?
R. – Come cristiano, come credente, come vescovo, io mi rivolgerei prima ai cristiani, per dire: pregate ad occhi aperti, state ad occhi aperti, perché ‘ho bisogno di conoscere quel Cristo che mi viene incontro’. Questo è importante, perché se la base si convince, riesce a smuovere un po' di più l'altezza e allora riusciremmo a trovare l'aria giusta per poter cambiare qualcosa. Ai politici, invece, direi che l’immigrazione non può essere soltanto materia di discussione e di litigio, se tanta gente si muove una risposta bisogna darla. Sull'Europa sono ancora un po' perplesso. L’Europa ha fatto il passo sbagliato, ha messo al centro finanza ed economia, non l'uomo quindi, che l’Europa si renda conto dell'uomo è difficile, allora si tratta di convertire il cuore e di ritmare diversamente il cammino di un Europa che non è un’Europa unita, è una unione di egoismi, e un’unione di egoismi non fa mai una comunità.
Il Papa lancia continuamente appelli e sollecitazioni alla coscienza dei cristiani, eppure le sue parole è come se cadessero nel vuoto, perché Francesco non viene ascoltato?
R. – Forse esagero in quello che sto dicendo e chiedo perdono se è una lettura cattiva, da vescovo non dovrei farla, ma la nostra fede è senza Vangelo, non lo leggiamo come un incontro con un Dio inquietante, il Papa ci inquieta ma noi ci possiamo girare dall’altro lato. Ecco, i sacramenti li abbiamo resi facili, sanno più di festa esterna che di cambiamento interno. Il Papa ci sta invitando a mettere sotto sopra un po' la nostra vita e a cambiare velocità, ma il dover cambiare fa paura e noi preferiamo una fede facile, dimenticando che domani, alle porte del Paradiso, non troveremo Pietro, ma troveremo i poveri e saranno loro a decidere la nostra eternità e sarà una brutta sorpresa. Li incontriamo qua e neppure li vediamo, anzi, vorremmo che se ne andassero proprio per togliere ogni segno della loro presenza. Ma questa gente ormai c'è e questa gente deciderà le sorti della mia eternità. Io dico: se nostro Signore, che è stato un immigrato, dovesse partire oggi per scappare, avrebbe preso un barcone, ce lo saremmo trovato in mezzo ai piedi, forse Maria avrebbe dovuto gettarlo in mare e sarebbe cambiata tutta la storia, e forse arrivando qua avrebbe detto ‘ora mi devo mettere a lavorare, che lavoro faccio?’. Ci accorgiamo che sono passati 2000 anni e ancora non hanno trovato il letto dove farlo nascere, i bambini continuano a nascere o nei barconi o in rifugi improvvisati. 2000 anni di Vangelo non ci hanno fatto cambiare la storia, se il Signore, e io lo dico sempre, volesse riscriverla, ci troveremmo nei pasticci, perché stavolta ci sarebbero i nostri nomi, noi a dire a Giuseppe e a Maria: “Ma che volete, qua posto non ce n'è, andate altrove!”. Ed è brutto non cambiare la storia dopo 2000 anni.
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