Un parroco iracheno: il Papa ha risollevato il nostro spirito
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Cinque ore di viaggio in pullman dalle montagne del Kurdistan iracheno, ai confini con la Turchia, fino alla capitale della regione autonoma Erbil. La trepidazione di vedere il Papa in questa terra martoriata ma desiderosa di risorgere. Un gruppo di 350 cristiani dal villaggio di Enishke, nella diocesi di Amadya, si è unito alle oltre diecimila persone che hanno partecipato alla messa nello stadio di Erbil, a chiusura dello storico Viaggio apostolico del pontefice. Sono rientrati carichi di nuova energia, ritemprati nella determinazione a non soccombere. Li ha accompagnati Padre Samir Yousif, parroco in cinque villaggi e insegnante all’istituto di teologia di Duhok.
“E’ stata una visita indimenticabile”, racconta il sacerdote. “Il Papa ha sollevato il nostro cuore, quello di tutti gli iracheni”. E cita alcuni titoli della stampa in Iraq in cui si sottolinea proprio questo: Papa Francesco ha risollevato i nostri spiriti.
Far tacere le armi
“Dal 2003 si parla di questo Paese solo in riferimento alle guerre, al terrorismo, agli attacchi degli estremisti islamici”, spiega, elogiando lo sforzo di un uomo ultraottantenne che ha compiuto ciò che “non hanno potuto fare i leader del mondo, incontrando le genti”. “In tre giorni è andato al sud, al centro, al nord per incoraggiarci, per dirci ‘non abbiate paura’, per stabilirci nella nostra fede, in una convivenza pacifica”. Il sacerdote si sofferma sul messaggio consegnato in un suolo di lacrime: che i cristiani siano il sale e la luce del mondo, “ci ha ricordato che il perdono e l’amicizia sono il potere del cristianesimo e che la vendetta non giova a nessuno. E ci ha invitato ad accettare la debolezza dell’altro”. Padre Samir dice quanto sia risuonato forte il grido a far tacere la voce delle armi per ascoltare la voce dei sofferenti e come sia rimbalzato ovunque attraverso i social. E poi torna alle toccanti immagini dell’incontro interreligioso a Ur dei Caldei: “Come Abramo accolse nella sua tenda i tre angeli, il Papa ha accolto i leader delle religioni. Ci ha indicato le stelle del cielo da guardare per renderci conto che il Signore compie sempre le sue promesse”.
Nel ricordo di monsignor Rahho ucciso a Mosul
Yousif è nato a Mosul, frequentava la piazza delle chiese, è cresciuto lì, la sua scuola era lì, nella città vecchia. Ricordare quei luoghi, da dove è stato costretto a venir via, gli rompe per un momento la voce: da quei luoghi feriti “il Papa ha lanciato un messaggio molto forte, tra le macerie. Alzando la croce ha diffuso il messaggio di pace che si estende anche agli altri paesi, alla Siria, dove la situazione è molto simile a quella dell’Iraq, con le devastazioni di molte città. Lì dove era stato proclamato lo Stato islamico – racconta - era impensabile che il Papa arrivasse... Quante persone hanno sofferto”. Spiega che la sua famiglia è fuggita tre volte, sua madre ha vissuto tre migrazioni, lui stesso. Da Mosul a Baghdad, poi in Kurdistan. “Ogni volta si deve lasciare tutto, perdiamo le nostre case e ricominciamo tutto daccapo. Non è facile essere cristiani qua”. Padre Samir era parroco a Mosul, segretario dell’allora vescovo Rahho, ritrovato ucciso il 13 marzo 2008. “In migliaia sono morti qui – spiega – e di tanti rapiti tuttora non si sa più nulla. Conosco tre giovani spariti a Baghdad e non sappiamo più niente di loro. Io dico che questo viaggio ha fatto gioire tutti i nostri martiri”.
L’accoglienza e il sostegno ai rifugiati
Il prete iracheno accenna all’opera cruciale di accoglienza - che sta ancora portando avanti - delle migliaia di profughi che hanno trovato riparo nel Kurdistan, cristiani ma anche musulmani e altre minoranze. Ringrazia la Conferenza Episcopale Italiana da cui molto si sentono sostenuti: “I rifugiati stanno meglio, quelli nei campi ancora soffrono molto. Noi ci impegniamo a distribuire cibo, aiutiamo i loro figli ad andare a scuola, cerchiamo per loro qualche lavoro, facciamo tutto il possibile per non lasciarli soli, così come ha fatto Cristo. Abbiamo paura – conclude - ogni volta che bombardano qui vicino, al confine. Ma non possiamo che restare qua. Ci sono difficoltà economiche, aumentate con la pandemia. Ma l’Iraq sarà forte, tornerà come alle origini. Entreremo in una nuova luce”.
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