San Clemente al Colosseo, dove il tempo lascia tracce visibili
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
Ci sono luoghi in cui il tempo ha lavorato insieme agli uomini in un modo particolarmente evidente lasciando strutture stratificate l’una sull’altra in modo ordinato, leggibile, a segnare il corso della storia. Nel 1857, padre Joseph Mulloy allora priore, appartenente ai padri domenicani irlandesi, ancora oggi rettori della basilica, condusse indagini di scavo scoprendo un vero palinsesto. Ciò che vediamo oggi è una bella chiesa preceduta da un quadriportico settecentesco ma se entriamo e poi scendiamo nei sotterranei vedremo succedersi fasi diverse, la più antica delle quali rimonta al I secolo d.C., con resti a grandi blocchi di tufo identificabili nella Moneta, la sede della zecca imperiale, o in un horreum, un magazzino funzionale, forse, al vicinissimo Colosseo. Sono state riscontrate anche le tracce dell’incendio neroniano del 64 d.C. Nel II secolo d.C. troviamo una dimora privata dove, all’inizio del III secolo, fu posto un mitreo, luogo di culto di origine orientale.
La prima basilica
La stratificazione sale. Alla fine del III secolo, la ricca abitazione gentilizia viene adibita al culto cristiano con il nome di titulus Clementis, con riferimento a papa Clemente I. Un secolo più tardi nasce la basilica paleocristiana a tre navate, decorata con affreschi e tuttora visitabile, benché nel 1084 sia stata pesantemente danneggiata dalle razzie normanne di Roberto il Guiscardo.
Questa basilica inferiore funziona da chiesa colletta, cioè punto di riunione e partenza della processione.
così come la basilica di Santa Anastasia un tempo e ora sant'Anselmo per Santa Sabina. Quindi la processione stazionale sale nella basilica superiore, dove oggi si svolgerà la celebrazione eucaristica alle 18.30.
La chiesa è dedicata al quarto successore di Pietro, san Clemente, morto nel 97 d.C., il cui corpo era stato portato dalla Crimea a Roma nell'867 dai santi Cirillo e Metodio. Anche san Cirillo è sepolto nella basilica.
Dal latino alla lingua volgare
E a episodi della Passio sancti Clementis sono dedicati gli affreschi ancora visibili nella basilica inferiore, databili tra l'VIII ed il IX secolo. Tra questi vi è una importantissima iscrizione con il dialogo tra Clemente e il prefetto Sisinnio. Mentre il primo parla in lingua latina, il secondo si esprime in lingua volgare e usa addirittura un’espressione triviale:
Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle.
Il prefetto incita i suoi a “traire” (trascinare) Clemente, ma al posto suo trascinano una colonna in marmo. E il santo risponde loro con una frase tratta liberamente dalla Passio:
Duritiam cordis vestris, saxa traere meruistis, (meritate di trascinare sassi a causa della vostra durezza di cuore).
Non si tratta soltanto dell’attestazione di un esempio tanto antico dell’uso della lingua volgare in un contesto pubblico e artistico, c’è di più. Anche nell’intercalare grossolano del prefetto si mostra la differenza tra i due attori della scena, dove il latino è la lingua colta e propria di un santo, mentre il volgare appartiene a un uomo grossolano anche nell’animo. Bisogna notare che nella frase di Clemente ci sono alcuni errori dimostrando il progressivo disuso del latino a vantaggio di una nuova lingua che andava formandosi, anche con accezioni locali e in questo caso romaneschi.
La basilica superiore
Per un certo periodo, la basilica rimase in stato di abbandono. Venne quindi demolita nella parte superiore e interrata per costruire l’attuale, a un livello quindi più alto delle precedenti strutture, nelle forme che ci sono familiari.
Costruita con il cardinale titolare Anastasio tra 1099 e 1120, è divisa da tre navate con colonne di spoglio e priva di transetto. L’abside e l’arco trionfale sono decorati con i mosaici tra i più belli, databili ad alcuni anni posteriori al 1100.
Il trionfo della Croce
Si tratta di una composizione fantastica che unisce elementi decorativi ad altri figurativi con una capacità espressiva e simbolica stupefacente. Rappresenta l’albero della vita. Sul fondo oro si staglia Cristo sulla croce dove si susseguono dodici colombe bianche che simboleggiano gli apostoli. Alla base vi è un cespo di foglie di acanto dalla quale si diramano racemi che creano girandole e due rami che inscrivono la Vergine e Giovanni Evangelista. Nelle altre volute ci sono fiori che hanno l’aspetto di calici o fontane e ancora uccelli, altri fiori e gruppi di tre persone intente a lavori quotidiani. Questi mosaici appaiono come una visione onirica. Rimandano in qualche aspetto ad alcuni precedenti classici di epoca augustea, uniti a diffusi motivi paleocristiani, ma alludono alla stessa simbologia paradisiaca. Dall’alto scende tra le nuvole la mano di Dio che stringe un tralcio. Dalla base della croce di diramano i fiumi evangelici al quale si abbeverano dei cervi. Nel fregio della base, agnelli in cammino verso il centro dove l’Agnus Dei, l’Agnello di Dio, è in posizione frontale. Tra le iscrizioni quella che corre lungo il bordo inferiore illustra il mosaico nel suo significato simbolico evidente: La Chiesa di Cristo paragoneremo a questa vite, che la Legge inaridisce e la Croce rinverdisce. Lo scrittore inglese Gilbert K. Chesterton, di fronte al mosaico, sottolinea in modo appassionato che si tratta di “Una vita che si sprigiona e irrompe nell'aria, in modo che il mondo abbia sì la vita, ma l'abbia in abbondanza".
Questa selva di simboli è completata da alcune figure sull'arco trionfale come san Paolo che ammaestra san Lorenzo, mentre san Pietro si rivolge a san Clemente, raffigurato con un’ancora, simbolo del suo martirio, quando fu gettato nelle acque del mar Nero.
Gli affreschi di Masolino da Panicale
Negli anni 1428-1431 Masolino da Panicale dipinse alcuni affreschi per la Cappella Castiglione o di Santa Caterina, commissionatigli dal titolare della basilica, il cardinale e fine umanista Branda da Castiglione, che aveva apprezzato la sua pittura a Firenze, nella Cappella Brancacci. Gli affreschi raffigurano le storie di sant’Ambrogio e di santa Caterina d'Alessandria, oltre che una Crocifissione e un’Annunciazione. Se lo stile è prettamemte di Masolino, tuttavia si scorgono alcuni segni tipici di Masaccio, che forse partecipò in una fase iniziale ma morì inaspettatamente nel 1428.
A Roma un'opera simile stupisce. Nella cappella si respira l'aria rinascimentale più tipica del centro Italia che di Roma. Ad esempio nella Crocifissione, dove la croce si innalza altissima e sottile o nell'Annunciazione dai colori tenui, con le due figure delicate ed eleganti su uno sfondo di misurata prospettiva, contro orizzonti vuoti ma pieni di cielo.
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