“Casa San Felice”, una luce di speranza alla periferia di Roma
Isabella Piro - Città del Vaticano
Una luce di speranza, un simbolo di armonia, un richiamo all’ospitalità, un esempio di solidarietà: tutto questo è “Casa San Felice”, il centro di accoglienza per senza-tetto, migranti e persone in difficoltà o in fuga da guerre e conflitti. Situata nel quartiere di Centocelle, alla periferia di Roma, la struttura è gestita dall’attigua Parrocchia “San Felice da Cantalice”, affidata sin dal 1928, anno della sua edificazione, ai Frati Minori Cappuccini della Provincia Romana. “Casa San Felice” nasce, quindi, come una conseguenza naturale del loro carisma: “Abbiamo nel nostro Dna, nella tradizione dei nostri conventi – spiega il Parroco, padre Mario Fucà – l’abitudine alla così detta ‘foresteria’, dove ospitare le persone di passaggio o che si trovano in condizioni di necessità. Abbiamo quindi sempre avuto l’idea di allestire una struttura per rispondere alle necessità dei più bisognosi”.
L’accoglienza dei rifugiati siriani
“Il un progetto viene da lontano – aggiunge – Poi, piano piano, guardando al territorio e vedendo che ci sono tante persone che vivono in strada, senza fissa dimora, si è pensato di offrire più servizi, qualcosa che andasse oltre la semplice mensa, come la possibilità di pernottare o di farsi una doccia. Con l’entusiasmo della comunità parrocchiale, un’ala dei locali destinati all’attività pastorale è stata ristrutturata ed è diventata praticamente un ostello, una casa per i senza tetto”. La struttura può accogliere dodici persone, ma al momento, nel rispetto delle normative anti-Covid, ne ospita solo quattro, così da permettere il distanziamento. Il servizio mensa, invece, può garantire una cinquantina di pasti. ”Abbiamo ricavato anche un appartamento per coloro che hanno bisogno di un alloggio per un determinato periodo – dice ancora il parroco - Attualmente, in questo locale, stiamo ospitando una coppia di siriani, e lo facciamo tramite i canali umanitari, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e con un’Associazione di volontariato della Parrocchia del ‘Santissimo Sacramento’”.
La risposta della Chiesa al degrado urbano
Il contesto urbano che circonda “Casa San Felice” non è tra i più facili e mostra un volto amaro, segnato da poche luci e molte ombre: “Il quartiere di Centocelle – racconta padre Mario - è in periferia e la situazione, purtroppo, è un po’ di abbandono, di degrado che si tocca con mano e che abbrutisce la vita della gente, perché il brutto è che le persone si abituano all’incuria e diventano indifferenti”. Per di più, la pandemia da Covid-19, “ha acuito il forte isolamento già presente tra la gente”. Nella zona vivono molti anziani, anche soli e malati, e molti migranti provenienti dal Nord Africa, dall’India, dal Bangladesh. C’è, inoltre, una comunità di oltre 2mila musulmani ed “un gran numero di persone che hanno problemi di alloggio e di sostentamento”. Davanti a queste difficoltà, la Chiesa non si è rimasta certamente a guardare: “Abbiamo riadattato anche un’altra area parrocchiale – dice padre Fucà - ossia una sala dell’oratorio, per ospitare un’altra famiglia rimasta senza casa, perché andata a fuoco”.
La migrazione, opportunità di incontro
Con la sua ospitalità, “Casa San Felice” rappresenta, dunque, un gesto di apertura nei confronti di quelle periferie verso le quali Papa Francesco invita così spesso a volgere lo sguardo. Ma la struttura è anche il simbolo della “concretezza della fede – sottolinea il parroco - perché amare il prossimo significa amare la persona che incontri: ogni persona che incontri è il tuo prossimo. E sul territorio, concretizzare la fede significa dare risposte a quei tanti ‘prossimi’ che vivono in condizioni al di sotto della dignità alla quale hanno diritto”. Il problema è strutturale in tutta la società, continua padre Mario: “Siamo in ritardo nell’affrontare la migrazione; soprattutto dal punto di vista culturale, siamo in ritardo nel considerarla un arricchimento, una possibilità, un incontro di persone, culture e tradizioni diverse. La migrazione è un arricchimento, ma fino ad ora mi sembra che prevalga il sospetto e che non si siano attivate davvero delle forme concrete di integrazione e di crescita”.
Un murale speciale dedicato a Baglioni
Fortunatamente, non mancano i segnali positivi, all’insegna della solidarietà: da oggi, infatti, “Casa San Felice” ospita, su una parete esterna, uno speciale murale, dedicato al cantautore romano Claudio Baglioni che proprio nel quartiere di Centocelle ha vissuto la sua adolescenza e proprio davanti alla Parrocchia di “San Felice da Cantalice” si è esibito nel maggio del 1964, ai primordi della sua carriera, partecipando al “Festival della canzone per dilettanti”. “Il murale – spiega padre Mario – lo hanno pensato i fans di Claudio Baglioni, per fargli un regalo per il suo 70.mo compleanno” che ricorre oggi, 16 maggio. “E noi come parrocchia – continua - siamo stati ben felici di poter prestare una parete del nostro Centro di accoglienza, perché Baglioni ha ricordato tante volte la sua adolescenza trascorsa nell’oratorio di “San Felice”. È un ‘sanfeliciano’ doc!”.
Opera dello street artist Maupal
Il disegno murario rappresenta un primo piano del cantautore da giovane, circondato dalle note e dalle parole della celeberrima canzone “Strada facendo”. Sullo sfondo, spiccano i versi “Strada facendo vedrai/che non sei più da solo” che rappresentano un messaggio di speranza per tutte quelle persone in difficoltà che bussano alla porta di “Casa San Felice”. A realizzare l’opera, è stato lo street artist Mauro Palotta, in arte Maupal, noto per aver dedicato alcuni murales a Papa Francesco, tra cui il famoso “SuperPope” raffigurato a Borgo Pio, nei pressi del Vaticano. Il costo dell’operazione è stato sostenuto interamente dai fan di Baglioni, raccolti nel gruppo “Doremifasol”, che hanno fatto anche una donazione a “Casa San Felice”.
La parrocchia è come una sinfonia: armonia di diversità
“È bello poter dire – sottolinea padre Mario - che c’è una persona della nostra parrocchia che si è affermato nel mondo della musica e che diventa, quindi, uno stimolo alla solidarietà, per permettere ad altri di affermarsi nella vita, cosa a cui tutti hanno diritto”. “Speriamo che questo murale faccia crescere la sensibilità della gente verso chi resta indietro – conclude il parroco - La musica è segno di speranza e, soprattutto, di armonia e di sinfonia. Io penso che un quartiere, una parrocchia debbano essere una sinfonia, un’armonia di diversità, di note diverse che, se appunto armonizzate, danno vita ad un concerto in cui ognuno può fare la sua parte”.
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