Livatino, Bassetti: nessun "deprecabile inchino" alla mafia
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Rosario Livatino è un “gigante della verità, un uomo che ha incarnato il Vangelo delle Beatitudini, perché egli aveva fame di giustizia”. Con queste parole forti il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha delineato la figura di Rosario Livatino. Il ‘giudice ragazzino’, vittima di un attentato di mafia il 21 settembre 1990, sarà beatificato domenica prossima ad Agrigento nella Santa Messa presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. L’occasione stamani al Palazzo dei Marescialli, sede del Csm, dove è stato presentato il docufilm di TV2000 sulla vita del magistrato. Presente il capo dello Stato e presidente del Csm, Sergio Mattarella.
Nessun contatto con la mafia
Il cardinale Bassetti ha poi sottolineato, analizzando il fenomeno della criminalità organizzata, “fonte di morte: morte della società, morte del territorio, morte dell’anima delle persone”, che “con la mafia non si convive! Fra la mafia e il Vangelo non può esserci alcuna convivenza o tantomeno connivenza. Non può esserci alcun contatto, né alcun deprecabile inchino”. Per questo è necessario, ha detto ancora il porporato, che vi sia una presenza dello Stato “forte, autorevole e soprattutto educativa”, che si opponga con efficacia alle “organizzazioni criminali che, per realizzare i loro progetti, creano un clima di paura che sfrutta la miseria e la disoccupazione, la disperazione sociale e l’assenza della certezza del diritto”. A completare il ricordo di Rosario Livatino, le parole di David Ermini, vicepresidente del Csm. Figure come quelle del giudice siciliano – ha detto – danno credibilità a tutta la magistratura. “Livatino – ha detto ancora Ermini – è il modello a cui ciascun magistrato ha il dovere di ispirarsi per guadagnarsi la fiducia dei cittadini, fonte primaria ed esclusiva della legittimità del suo agire”.
I vescovi siciliani e Livatino
Dignità, senso del dovere, audacia della responsabilità, onestà. Queste le parole con cui i vescovi siciliani in un messaggio hanno definito i valori a cui si ispirava il giudice di Canicattì. Nel testo, reso noto questa mattina presso il palazzo arcivescovile di Agrigento a pochi giorni dalla beatificazione, Livatino è definito “uno di noi, cresciuto in una comunissima famiglia delle nostre e in una delle nostre città, dove ha respirato il profumo della dignità e dove ha appreso il senso del dovere, il valore dell’onestà e l’audacia della responsabilità”. I presuli, infine, esortano, sulle orme delle parole di Giovanni Paolo II agli uomini della mafia, a non tacere di fronte alla mafia; “dobbiamo alzare la la voce e unire alle parole i fatti: non da soli, ma insieme, non con iniziative estemporanee, ma con azioni sistematiche. Solo così – sottolineano nel loro messaggio i vescovi siciliani – il sangue dei martiri non sarà stato versato invano e potrà fecondare la nostra storia, rendendola, per tutti e per sempre, storia di salvezza”.
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