La Trinità nell'arte. La sfida di dare un volto all'invisibile
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
La sfida di rendere visibile l’invisibile è compito primario dell’arte sacra. Ancor più quando il pittore o lo scultore sono chiamati a rappresentare dogmi fondamentali per la fede come quello della Trinità.
Dalle catacombe ad oggi
Le raffigurazioni più antiche risalgono ai primi secoli del cristianesimo. “Nelle catacombe romane di via Latina risalente al IV secolo”, spiega a Vatican News Mario Dal Bello, docente di Storia dell’Arte alla Pontificia Università Lateranense e autore del libro “La Trinità nell’arte”, edito da “Dei Merangoli”, “abbiamo una delle prime raffigurazioni della Trinità. Sono i tre angeli, o viandanti, cha appaiono ad Abramo. I Padri della Chiesa infatti vedevano in loro una prefigurazione della Trinità. Questa tradizione si tramanderà nei secoli”.
Tre figure visibili
Successivamente il soggetto ritorna nella Basilica Liberiana di Santa Maria Maggiore a Roma o a Ravenna nel VI secolo all’interno della Basilica di San Vitale. Lungo la storia dell’arte l’immagine della Trinità è incarnata dal Padre anziano, dal Figlio più giovane e dalla colomba dello Spirito Santo. Tre figure che compaiono generalmente nelle rappresentazioni del Battesimo di Cristo, della Trasfigurazione o dell’Incoronazione di Maria.
Raffaello e la tradizione
L’iconografia tradizionale è quella presente nell’affresco con “La Disputa del SS. Sacramento”, dipinto da Raffaello nel 1509 nelle Stanze Vaticane. Attorniato dai santi e dai patriarchi seduti a semicerchio sulle nuvole è Cristo risorto, un giovane uomo sorridente, sormontato dalla figura del Padre, anziano, maestoso e benedicente. Ai piedi dei due è dipinta in volo la colomba dello Spirito Santo, accanto alla quale sono disposti quattro angeli che sorreggono i quattro Vangeli. Centro della composizione è l’Eucarestia perché “nell’Eucarestia, nel Corpo di Cristo - precisa Mario Dal Bello - è presente tutta la Trinità”. Analoga iconografia è quella adottata in un dipinto coevo di Giovanni Bellini, conservato nella Chiesa di Santa Corona a Vicenza: il Battesimo di Cristo. “Il Padre è anziano e solenne sulle nubi, Gesù giovane e bello ci guarda frontalmente e la colomba dello Spirito vola sopra di lui”.
Tre uomini uguali
Una soluzione iconografica destinata ad avere fortuna nella pietà popolare è quella dei tre uomini, simili nell'aspetto, l’uno accanto all’altro. E’ presente anche nei codici quattrocenteschi come nella miniatura dipinta da Jean Fouquet tra il 1542 e il 1460 sulla pergamena del Livre d’Heures d’Etienne Chevalier, dove compaiono tre giovani vestiti di bianco, biondi con la barba e le sembianze di Gesù.
La Trinità con “tre teste”
Più rara ed originale è senza dubbio l’immagine del Dio tricefalo: un solo uomo con tre teste, il Vultus Triformis. “Se ne conserva un esempio - prosegue Dal Bello - in un affresco del Duomo di Atri in provincia di Teramo, riconducibile al 1410, dove è effigiato un giovane con tre teste. Tale raffigurazione venne poi proibita nel Seicento da Papa Paolo V perché considerata troppo vicina alle immagini delle divinità pagane.”
Il Trono di gloria
Destinata ad avere diffusione e fortuna è invece la scena del “Trono di gloria” o “Trono di Grazia”, in cui il Padre mostra il Cristo Crocifisso al mondo e tra i due vola la colomba dello Spirito Santo. Masaccio a Santa Maria Novella ne è l’esempio più eloquente. “Il soggetto - aggiunge Mario Dal Bello - trae origine dalla Pietà “patetica” propria del mondo tedesco tra 300 e 400, diffusa tra i mistici della Renania”.
Lo spettacolo barocco
Se il Quattrocento e il Cinquecento sono i secoli in cui maggiormente i pittori si cimentano sul tema della Trinità, essa compare anche nel Seicento e nel Settecento, ma la sua “manifestazione” non è tanto dettata da esigenza spirituali, piuttosto è finalizzata ad offrire alla vista di chi guarda un effetto “spettacolare”. L’autore del libro cita gli affreschi di Pietro da Cortona o del Baciccio, rispettivamente nelle Chiese romane di Santa Maria in Vallicella e del Gesù.
Tornare al figurativo senza copiare il passato
Sono immagini che sebbene lontane nei secoli hanno ancora la forza di raccontare al credente l’ineffabile. Una chiamata ancora pressante e attuale per l’arte contemporanea. Mario Dal Bello mette in guardia gli artisti del Terzo Millennio dal riciclare schemi iconografici del passato e li esorta a trovare forme nuove. Via maestra resta, a suo parere, il figurativo: “La maggior parte delle persone è abituata al figurativo: penso alla Chiesa dei Santi Giacomo e Giovanni a Milano dove è presente la Trasfigurazione realizzata nel 2002 da Ivan Rupnik: un richiamo alla tradizione bizantina in forme moderne. Bisogna quindi tornare al figurativo, senza cadere nell’errore di copiare il passato”.
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