Delpini ricorda Don Riboldi: ha raccolto santità dove è pregiudizio e discredito
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Esequie stamattina per Don Mario Riboldi, morto mercoledì scorso all'età di 92 anni. Subito dopo la sua ordinazione sacerdotale nel 1953 don Riboldi cominciò ad incontrare i nomadi della periferia milanese. Iniziò così il suo viaggio con i popoli rom e sinti, vivendoci assieme. Apprezzato e incoraggiato dall'allora cardinale Montini e futuro papa Paolo VI, fu tra i promotori del primo e storico incontro della Chiesa Cattolica con Rom e Sinti a Pomezia, il 26 settembre 1965. Dal 1971 al 2018, per 47 anni, è stato incaricato diocesano per la Pastorale dei Nomadi. Un impegno che aveva accettato in toto e che aveva spinto fino alla scelta di vivere il sacerdozio da nomade, condividendo il contesto fragile e precario di un accampamento autorizzato a Brugherio. “Una figura centrale, nel cammino post conciliare, della pastorale dei Rom e dei Sinti”, lo ha definito oggi monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e neo presidente della Fondazione Migrantes.
Monsignor Delpini: ha seminato senza pretesa di raccogliere
“Ha seminato. Non ha preteso di raccogliere, non ha calcolato i risultati. Eppure ha raccolto rivelazioni di santità proprio là dove il pregiudizio rivolge uno sguardo di discredito generalizzato”: così monsignor Delpini, arcivescovo di Milano, in un messaggio letto ai funerali di Don Mario. Ha vissuto il suo ministero accampato nella precarietà e radicato nel Vangelo di Gesù. "Singolare interprete della pastorale dei nomadi - ricorda Delpini - don Mario ha seminato il Vangelo nei cuori di persone e famiglie nomadi perché ha imparato le loro lingue, condiviso la loro vita, ha pronunciato parole di incoraggiamento e inviti a conversione". Don Mario è stato radicale interprete della Chiesa in uscita, ha contribuito a portare per la prima volta un gitano agli onori degli altari: Ceferino Jimenez Mall. Preziose restano le sue traduzioni nelle varie lingue rom della Bibbia, di testi liturgici e di canti.
Di "uomo straordinario" parla Suor Claudia Biondi, responsabile dell’area Rom e Sinti di Caritas ambrosiana.
Annunciava il Vangelo tra i Rom
"Anche a vederlo ormai aveva l’aspetto di un patriarca Rom", racconta Suor Claudia. "Condivideva totalmente il loro stile di vita. Si muoveva con la roulotte, in giro per l’Italia e, da quando alcune frontiere erano state aperte, in giro per l’Europa. Ha fatto della sua condivisione di vita con i Rom la possibilità di annunciare il Vangelo. Potremmo dire quasi una incarnazione. Ha cercato di portare il Vangelo con la sua testimonianza e con attività di catechesi per loro".
Sacerdote autentico, invitava a vivere nell'onestà
"Uno degli aspetti che mi aveva sempre colpito, nelle varie occasioni in cui ci siamo incontrati, è che lui non faceva assolutamente caso al numero delle persone. Che fossero tre o quattro oppure trenta o cinquanta non faceva alcuna differenza per lui", ricorda la religiosa che precisa quanto la preoccupazione di Don Riboldi fosse sempre quella di prestare attenzione alla singola persona. "E poi è sempre stato onesto, ha sempre detto la verità. Non difendeva i Rom e in alcuni casi mi ha stupito perché diceva cose anche molto dure nei loro confronti. Lui ha mantenuto alcune verità sulle situazioni. Quando alcune cose non andavano bene, lui diceva che non andavano bene.
Condivisione, non assistenzialismo
"Anche verso di noi - ammette - alcune volte diceva che Caritas fa assistenza e che invece non bisogna fare assistenza. Era sbagliato secondo lui. Ricordo che a volte discutemmo a lungo su questo. Gli dicevo: 'Caritas non assiste, promuove'. Lui diceva che: 'No, io condivido con loro la vita e vi posso dire che voi sbagliate in modo netto'". Suor Claudia spiega che l'ottica di don Riboldi era proprio solo un’ottica di condivisione. "Difficilmente offriva aiuto diverso che non fosse la parola di Dio, il chiedere ai Rom che vivessero onestamente, in molto preciso e netto. Continuava a condividere anche se alcune cose non le apprezzava e anzi le condannava. Quindi lui aveva un atteggiamento di critica nei confronti dei laici e nei confronti dei Rom. Ma è rimasto loro fedele".
Una vita accanto agli scartati
Riboldi non aveva difficoltà ad ammettere che lo stile di vita arcaico e rurale dei Rom in fondo gli era congeniale. Ogni mattina celebrava messa per i cattolici del campo nomadi dove viveva. Da quando la sua salute si era deteriorata, dimorava in una casa di riposo di Varese, lì dove ha concluso i suoi giorni. Aveva iniziato la traduzione del Vangelo di Marco in una delle tante lingue romanes che parlava, riferiscono alcuni suoi amici. Alla luce delle parole pronunciate da Papa Francesco quando, il 9 maggio 2019, ricevette in Vaticano un gruppo di Rom e Sinti, suor Claudia conclude: "Credo certamente che don Mario aveva fatto una scelta di predilezione andando a condividere la vita con persone scartate che continuano ad essere scartate. Però il suo essere con loro era un modo di dire ‘Il Signore è con voi’. E lui l’ha vissuto fino in fondo".
(Ultimo aggiornamento 11 giugno 2021, ore 13.00)
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