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Una donna mozambicana a Pemba, capitale di Cabo Delgado (John Wessels / Afp) Una donna mozambicana a Pemba, capitale di Cabo Delgado (John Wessels / Afp)

Grido di allarme di Sant'Egidio: non abbandoniamo i mozambicani

Questa mattina in conferenza stampa la Comunità fondata da Andrea Riccardi ha denunciato l'insostenibile situazione in cui versa la popolazione mozambicana, da tempo nella morsa del terrorismo. A pagare il prezzo più alto sono le nuove generazioni, come afferma don Angelo Romano, dell'Ufficio Relazioni Internazionali della Comunità

Andrea De Angelis - Città del Vaticano 

Trenta milioni di persone. Tanti sono gli abitanti del Mozambico, Paese dell'Africa orientale alle prese con una crisi che coinvolge e sconvolge la vita dei suoi abitanti. Specialmente quelli che vivono all'estremo nord, al confine con la Tanzania, nella zona di Cabo Delgado. Lì imperversa il terrorismo che ha causato negli ultimi tre anni, ed in particolar modo negli ultimi dodici mesi, centinaia di migliaia di rifugiati interni. Persone costrette a lasciare tutto per fuggire agli attacchi terroristici, ma non sempre gli spostamenti portano alla salvezza: tante le vittime, specialmente tra i più piccoli, durante i viaggi della disperazione. Questa mattina in una conferenza stampa dal titolo "Non abbandoniamo il popolo del Mozambico vittima del terrorismo", la Comunità di Sant'Egidio ha illustrato gli effetti della crisi umanitaria sulla popolazione e gli interventi che hanno messo in atto grazie alla loro presenza capillare sul territorio mozambicano. Ad intervenire è stato don Angelo Romano, dell'Ufficio Relazioni Internazionali di Sant'Egidio, che ha poi rilasciato un'intervista a Radio Vaticana - Vatican News. 

Le sofferenze di un popolo

Don Angelo, oggi voi accendete i riflettori sul Mozambico, un Paese troppo spesso dimenticato. Qual è la situazione al momento?

Ascolta l'intervista a don Angelo Romano

Il 4 ottobre del 1992 è stata firmata a Roma, a Sant'Egidio, la pace che poneva fine ad una guerra civile durata quasi 17 anni che aveva provocato quasi un milione di morti. Il Mozambico ha avuto un indice di crescita alto, è ripartito, il Paese aveva tutte le caratteristiche per affrontare il proprio futuro con speranza. Nel 2017 è scoppiata una rivolta islamista a Cabo Delgado, nell'estremo nord, al confine con la Tanzania. Si sono moltiplicati gli attacchi terroristici di un'organizzazione che poi è entrata a far parte, sembra anche formalmente, dell'Isis. Attacchi finalizzati a distruggere il tessuto sociale per poi ricostruirlo con le regole del sedicente Stato islamico. Attacchi che hanno colpito in maniera indiscriminata la popolazione. Nell'ultimo anno è cresciuto enormemente il numero dei rifugiati interni, ad oggi circa 740mila persone, di cui solo un decimo si trova in campi assistiti dalle agenzie internazionali. Il maggior numero di questi individui è rifugiato in contesti familiari, in alloggi di fortuna. La situazione al momento è dunque gravissima, colpisce sia la comunità cristiana che quella musulmana. I terroristi considerano infatti i musulmani che non seguono la loro visione come nemici, li perseguitano allo stesso modo degli altri. Si tratta di un disegno malvagio e pericolosissimo. Il Mozambico non ha avuto i mezzi e la capacità di affrontare questa crisi per lungo tempo. 

Il ruolo della comunità internazionale 

Qual è stata, specie in questi ultimi mesi, la risposta della comunità internazionale? Si sta agendo in modo adeguato?

Ci sono state una serie di decisioni, c'è un intervento ruandese in corso e sta per iniziarne un altro della comunità degli Stati dell'Africa australe. Sta iniziando un addestramento europeo, ma come Sant'Egidio siamo convinti che la risposta non può essere solo militare. La popolazione è stata marginalizzata, c'è bisogno di uno sforzo molto grande per riconquistare la fiducia delle persone ed in questo senso la comunità internazionale può giocare un ruolo importante. 

In questo "disegno malvagio", come lei lo ha definito, che prezzo pagano i più giovani? Tante volte il Papa, parlando di scenari drammatici, ha posto l'accento sul dramma nel dramma che vivono i bambini. Qual è la situazione dei più piccoli nel Paese?

I bambini stanno pagando il prezzo più alto di questa crisi. Stiamo parlando di una percentuale altissima di questi rifugiati, quasi la metà del totale. Insieme alle donne rappresentano il 75% dei rifugiati interni. Pagano il prezzo più alto perché devono interrompere gli studi e molti sono rapiti dai terroristi per essere addestrati come combattenti. Molte bambine sono rapite e ridotte in schiavitù. C'è una fragilità ulteriore proprio nella condizione dei bambini, esposti al conflitto. Va detto anche che questi rifugiati interni per riuscire a sfuggire agli attacchi terroristici hanno camminato a piedi o si sono spostati in imbarcazioni di fortuna per settimane, anche per mesi. Molti di loro sono morti per fame, per stanchezza. Sant'Egidio ha incrementato il suo aiuto umanitario a queste persone, abbiamo raggiunto circa 25mila persone con centinaia di tonnellate di aiuti. Vogliamo fare ancora di più, soprattutto permettendo ai bambini di studiare. Stiamo costruendo edifici scolastici in alcuni campi profughi, lavoriamo per un programma di borse studio e grazie ad un programma già presente in Mozambico di registrazione anagrafica dei rifugiati, chiamato 'Bravo', operiamo per far avere a queste persone dei documenti. Oltre la metà di loro, infatti, li ha persi. Sono scappati senza documenti o li hanno smarriti in viaggio e questo crea ovviamente grandi problemi. Il nostro aiuto consiste anche nel restituire loro i documenti necessari per poter usufruire dei servizi dello Stato. 

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21 luglio 2021, 11:58