I fragili di Roma, "avere ciò che è giusto è un diritto non elemosina"
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Più di 2.500 persone della città di Roma, a rischio di esclusione sociale, per la maggior parte disoccupati, hanno potuto accedere al "Fondo Gesù Divino Lavoratore" istituito più di un anno fa dal Papa. Francesco aveva stanziato un milione di euro, per sostenere i più colpiti dalla crisi economica causata dalla pandemia, ma l'Alleanza per Roma creata dalla Diocesi con le istituzioni pubbliche, il terzo settore e i privati ha permesso - spiega il viceregente di Roma l'arcivescovo Gianpiero Palmieri - di impiegare fino a due milioni e duecentomila euro nel sostegno dei più fragili.
Monsignor Palmieri, cominciamo dal bilancio di questa iniziativa: che lettura ne dà?
Sicuramente è un bilancio altamente positivo, perché questa iniziativa voluta da Papa Francesco del “Fondo Gesù Divino Lavoratore” ha raggiunto diversi obiettivi. Prima di tutto, l'aiuto concreto un numero consistente di famiglie, circa 920, per un totale di 2.500 persone. Questo aiuto è consistito non soltanto in un supporto economico, ma anche nella possibilità di trovare lavoro: nel 30% dei casi si è attivato un tirocinio lavorativo o si è stati introdotti, reintrodotti nel mercato del lavoro. L'altro obiettivo sicuramente positivo è una collaborazione tra Chiesa e istituzioni, in modo particolare la Regione Lazio e il Comune di Roma e diversi soggetti privati che hanno finanziato il fondo per poter portarne avanti le iniziative.
Una esperienza che anche dimostrato, eccellenza, che uno dei più grandi problemi della città, resta la precarietà lavorativa in questo momento...
Direi che è il problema fondamentale, non perché altri problemi come l'alloggio o il basso reddito non siano reali, ma appunto sono collegati alla mancanza di lavoro. Nel momento in cui si riesce a risolvere il problema della mancanza di lavoro, e di un lavoro giustamente retribuito, allora gli altri problemi vengono risolti di conseguenza.
Ecco come far sì che questo tipo di aiuto – la solidarietà, la carità – non diventino elemosina...
Il punto fondamentale è un po' lo slogan che la Caritas di Roma ha dato all'iniziativa “Non si dà per elemosina quello che spetta per giustizia”. Questo ha significato che gli operatori e i collaboratori Caritas che hanno lavorato a questo Fondo hanno offerto un aiuto prima di tutto nell’accompagnamento delle persone: è stato elaborato un “Manuale dei diritti” in cui tutte le iniziative che volta per volta i vari decreti ministeriali fissavano – il reddito d'emergenza, il reddito di cittadinanza, i vari bonus, tutto quello che veniva stanziato – fossero veramente accessibili per le categorie più fragili e povere che si avvicinavano ai centri di ascolto parrocchiali. In fondo quello che è venuto fuori è che la realtà più prossima alle situazioni di fragilità delle nostre città sono i centri di ascolto, soprattutto della Chiesa, Caritas o non Caritas. Caritas è stata molto brava, a mio giudizio, a mettere su più di 75 presidi territoriali di ascolto, oltre ai normali centri di ascolto parrocchiali, dove potevano confluire queste richieste di aiuto e di lavoro, per poi quindi accompagnare le persone nella ricerca di una soluzione. Quindi l'aiuto fondamentale è stato questo accompagnamento: aiutare le persone a chiedere quello che gli spetta per diritto, a sapere affrontare tutta la complessa macchina burocratica, e chi non ci fosse riuscito veniva aiutato attraverso i benefici del Fondo.
Un progetto da cui nasse anche un forte senso di speranza…
Assolutamente sì. Direi che c'è un fermento non solo sociale, di attenzione ai più fragili nella città, dove ci sono componenti ecclesiali e laiche davvero in prima fila, ma c'è anche un fermento culturale, un fermento di iniziativa, sono tutte iniziative dal basso. Il problema delle iniziative dal basso è che hanno un problema: sono spesso talvolta frammentate. Il compito delle istituzioni e anche della Chiesa è di sostenerle, di metterle in rete, di incoraggiarle perché sono iniziative estremamente preziose. La città tutt'altro che morta, la società è tutt'altro che indifferente.
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