Accrocca: “In Italia la pastorale non può essere uniforme per tutto il Paese”
Federico Piana- Città del Vaticano
La pastorale per le periferie italiane non può essere la stessa di quella destinata alle grandi città. Ne è convinto l’arcivescovo di Benevento, monsignor Felice Accrocca, che, per dare forza a questa tesi, fa un esempio concreto: “Molto spesso sentiamo parlare dei problemi della catechesi ma, per noi chiesa di periferia, il vero problema è non avere ragazzi perché, nelle nostre zone, di giovani non ce ne sono quasi più”. Ecco, allora, che il presule non ha perso tempo e ha convocato un incontro con i vescovi delle Aree interne del Paese che si svolgerà proprio a Benevento dal 30 al 31 agosto prossimi. Un successo: parteciperanno in venti, provenienti da diverse regioni italiane. “L’obiettivo – sintetizza monsignor Accrocca - sarà duplice: elaborare un piano di rilancio di queste zone colpite da spopolamento, crisi economica ed emarginazione, e trovare la strada per definire una pastorale adatta alle nostre esigenze territoriali e sociali”.
Questa necessità che sente impellente è stata scoperta solo ora?
Abbiamo preso coscienza progressivamente. Tutto è cominciato due anni fa quando, con i vescovi della metropolìa di Benevento, indirizzammo una lettera agli amministratori intitolata "Mezzanotte del Mezzogiorno?". Da quel punto in poi, abbiamo percorso un itinerario d’approfondimento e siamo giunti a constatare che anche l’azione pastorale è profondamente diversa nelle nostre zone. E questo pone un’enorme serie di problemi.
Un esempio?
Molto spesso, in ambito ecclesiale, si sente dire: usate i mezzi audiovisivi, le connessioni on-line. Ma qui non arriva la banda larga, non c’è la fibra. Come si fa? Bisogna avviare una riflessione profonda, che ancora non è stata fatta. A questo mio invito hanno risposto venti vescovi di diverse regioni che vanno dalla Sicilia al Piemonte: ciò vuol dire che il problema è trasversale.
Quali sono i temi al centro dell’incontro?
Non ci sono temi preconfezionati. Cercheremo di riflettere su queste criticità, anche dal punto di vista teologico. Esiste la pastorale urbana, quella del turismo, ma la pastorale delle aree interne ancora non c’è. Dunque, avvieremo un processo affinché possa essere creata.
Secondo lei, quali caratteristiche dovrebbe avere la pastorale delle aree interne?
Io posso parlare per le aree del Centro-Sud. Qui, ad esempio, bisognerebbe purificare la religiosità popolare. Ci dobbiamo interrogare su come coinvolgere gli anziani nell’apostolato ministeriale perché, nei paesi, l’età media è molto alta. Poi, quali processi avviare per realizzare delle collaborazioni in rete tra piccole realtà: una singola parrocchia di quelle zone non può certamente portare avanti da sola la pastorale giovanile. Serve una conversione pastorale dell’episcopato e del clero per lavorare in sinergia.
Nelle zone periferiche manca anche un’attenzione alla pastorale del dialogo ecumenico ed interreligioso nonostante che decine di paesi siano abitati in prevalenza da immigrati di altre religioni…
Sì. Occorre avviare dei percorsi di collaborazione con coloro i quali non condividono la fede cattolica. Nelle grandi città questo si fa già ma non nei piccoli paesi, dove, però, trenta immigrati, tra l’altro giovani, magari rappresentano il 30% della popolazione. Insomma, stiamo avviando un processo. Ripeto, l’azione pastorale in Italia non può essere un’azione uniforme per tutto il Paese.
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