Francesco: don Fornasini, il “parroco zelante nella carità"
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Un applauso si leva dalla folla di fedeli in Piazza San Pietro quando Papa Francesco, dopo l'Angelus, parla della beatificazione di oggi pomeriggio a Bologna di don Giovanni Fornasini, sacerdote e martire, testimone a cui guardare - sottolinea - nei momenti difficili della vita.
Parroco zelante nella carità, non abbandonò il gregge nel tragico periodo della seconda guerra mondiale, ma lo difese fino all’effusione del sangue. La sua testimonianza eroica ci aiuti ad affrontare con fortezza le prove della vita.
Lievito per i suoi parrocchiani
“Vogliamo essere il lievito che agisce nascostamente nella massa, per la massa”. È lo scopo della “Repubblica degli Illusi”, nata il 5 aprile 1942 come progetto di vita di alcuni seminaristi. Un’alleanza nel nome di Gesù, “il più grande illuso della storia”: scrivono questi giovani, futuri preti, pronti a sostenersi in un tempo cupo come quello della guerra. Tra di loro c’è don Giovanni Fornasini, intenzionato come gli altri a diventare “un santo sacerdote”. Mai definizione di sé fu tanto profetica.
La Chiesa oggi lo eleverà agli onori degli altari nella Messa di beatificazione presieduta a Bologna dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio, nel gennaio scorso. Don Giovanni infatti morì il 13 ottobre 1944 in “odium fidei” a soli 29 anni, ucciso dai nazifascisti mentre portava i sacramenti ai moribondi nel cimitero di San Martino di Caprara, luogo dell’ennesimo eccidio a Monte Sole.
Un parroco giovane e generoso
“È stato solo un prete buono, fino alla fine, che si è pensato con la sua gente, che non ha avuto paura perché il suo amore per il Signore era più della paura”. Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha tracciato così il profilo di Don Giovanni Fornasini, nato a Pianaccio di Lizzano in Belvedere, sull’appennino bolognese, il 23 febbraio 1915. Dieci anni dopo la famiglia si trasferisce a Porretta Terme e qui il giovane cresce nella preghiera e nella fede tanto da voler diventare sacerdote. Nel 1931 inizia un percorso in Seminario, segnato dalla fatica nello studio e dalla salute cagionevole. Diventato prete nel 1942 viene destinato a Sperticano, una piccola comunità di 333 abitanti vicino a Marzabotto, dove resterà fino alla sua morte. Alcuni ancora oggi lo chiamano “l’angelo di Marzabotto”, altri il “pretino” che offriva la sua vita per salvare gli altri.
La carità che lo compromette
“È stato un sacerdote – afferma don Angelo Baldassarri, responsabile del Comitato per la beatificazione di don Giovanni Fornasini – che in tempo di guerra cerca di fare della sua parrocchia una comunità accogliente, attenta ai piccoli, ai ragazzi, al servizio, alla preghiera. Poi quando la guerra arriva in casa sente il desiderio e la necessità di aiutare tutti coloro che sono nelle situazioni di bisogno”. È una carità silenziosa, senza distinzioni, che alla fine lo compromette, lo espone ad essere giudicato dalle autorità come “uno che si immischia in cose che non sono sue”. Una carità, la sua, che fa sporcare le mani.
La vicenda di don Giovanni si colloca in una pagina di storia molto triste, legata alla strage di Monte Sole, una collina dell’appennino bolognese, di cui lui fu testimone. Un eccidio commesso dalle Ss che aveva lo scopo di cacciare i partigiani e che costò la vita a giovani, bambini e anziani. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 morirono circa ottocento persone in diverse località di Monte Sole. Un episodio passato alla storia come l’eccidio di Marzabotto. “Il parroco di Sperticano – racconta don Angelo - viene arrestato mentre cerca di liberare degli uomini, torna a Bologna per avere dei documenti in Curia e qui gli chiedono di restare in città finché non sarà passata la bufera, invece don Giovanni ritorna nella parrocchia dove è avvenuto l’eccidio e lì, negli ultimi giorni della sua vita, si troverà soltanto a seppellire dei morti”.
Una morte cruenta
Don Giovanni Fornasini, la sera prima di morire, partecipa ad una festa organizzata dai soldati tedeschi perché aveva capito il pericolo che correvano alcune ragazze del paese. Proprio quella sera il comandante delle Ss lo invita il giorno dopo a salire fino ai luoghi della strage. Tra i timori di tutti don Giovanni va, ma da lì non farà più ritorno. Verrà ucciso dietro al cimitero di Caprara e solo dall’analisi dei suoi resti, ritrovati dal fratello alla fine della guerra, si è capito che era stato ucciso per le botte ricevute e perché trafitto al collo da una baionetta. “La sua carità – spiega don Angelo Baldassari – era rivolta verso tutti, un amore che non si spegne anche quando la violenza è terribile, ha disturbato i soldati che uccidendolo pensavano di annientarlo e di farlo dimenticare in fretta. Non è stato così”.
“Quello che colpisce della figura di don Giovanni è che seppe vivere gli ultimi momenti della sua vita con coraggio e anche con una forza fisica grande, lui che era stato malato, che era stato povero, che durante la scuola era stato bocciato più volte. Nella figura di Giovanni – aggiunge don Baldassarri - emerge che proprio le fragilità e le difficoltà della sua vita lo hanno fatto diventare lievito perché ha saputo mettersi nei panni di coloro che vivevano le stesse fatiche”.
Sull’altare la bicicletta
Ci sono oggetti che sono legati alla storia e al martirio di don Giovanni e che verranno collocati in un altare laterale. Ci sarà la sua bicicletta, di cui era un grande appassionato, e che per lui era “lo strumento per avvicinarlo ancora di più ai suoi parrocchiani”. Non mancheranno gli occhiali e l’aspersorio, ritrovati accanto al suo corpo martorizzato perché il giorno della sua morte era andato a vedere cosa era successo in quei luoghi. “Gli occhiali – afferma don Angelo – rappresentano il suo andare a vedere che cosa lui stesso potesse fare per gli altri e l'aspersorio era per la benedizione ai defunti. È stato anche l'ultimo strumento pastorale della sua vita perché negli ultimi giorni non aveva fatto altro che seppellire i morti della strage”. “In molti ricordano che don Giovanni si riempiva di profumo probabilmente per riuscire a sopportare il cattivo odore e poter fare almeno questo ultimo atto di carità”. Ci sarà anche la sua sporta, la borsa nella quale aveva sempre il pane, le caramelle o le cose che servivano alle persone che si rivolgevano a lui.
“Gesù cosa avrebbe fatto?”
È in una semplice domanda che si nasconde la forza di don Fornasini. Alcune testimonianze di suoi confratelli che lo avevano incontrato a fine agosto 1944, racconta don Baldassari, ci dicono che rispondeva in modo netto a chi gli contestava di esagerare con la carità, soprattutto in tempo di guerra. Don Giovanni rispondeva: “Ma Gesù avrebbe detto quello che dici tu? Avrebbe fatto come fai tu?”. “C'è un messaggio che sento molto forte per tutti i giovani – conclude don Angelo – e che è legato al fatto che Fornasini non è stato un supereroe, nella sua vita ha avuto tante difficoltà e tante fragilità ma proprio in quelle difficoltà c'è stato lo snodo con cui ha imparato a dare il meglio di sé. Non è un eroe irraggiungibile, ma ci indica la via di chi impara dalle sue fatiche, ci dice ancora che di fronte a una violenza che voleva dividere, lui con la sua carità, con la sua accoglienza, si è posto come riferimento per unire e per camminare insieme”.
(Ultimo aggiornamento, 26 settembre h 12.37)
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