Minassian: “La mia missione è di essere un buon pastore"
Federico Piana - Città del Vaticano
“È stata la semplice visita ad un padre che ci ama e che ci ha indicato la via da seguire”. Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, nuovo patriarca di Cilicia degli armeni, racconta così la visita di oggi a Papa Francesco, nella quale il Pontefice gli ha consegnato l’Ecclesiatica Communio. “L’incontro – spiega il Patriarca - si è aperto con una battuta da parte del Santo Padre. Mi ha detto: finalmente ti hanno pescato! Ed io ho risposto: eccola la volontà di Dio! Poi l’ho ringraziato per le sue preghiere che ci hanno accompagnato per tutto il Sinodo della Chiesa armeno-cattolica che si è svolto pochi giorni fa a Roma”.
Quali sono stati i sentimenti che ha provato appena le hanno comunicato la sua elezione?
Subito mi sono venute alla mente le parole di Gesù dette a san Pietro: quando ti invecchierai verranno a metterti la fascia e a portarti dove tu non vuoi e alla fine Gesù gli ha consegnato la sua Chiesa. Mi vedo come un uomo debole, come il nulla, davanti alla Provvidenza di Dio. Ma ho piena fiducia, mettendomi sotto la protezione del mio salvatore, Gesù Cristo!
Quali saranno i punti qualificanti del suo governo pastorale?
Prima di tutto, cercherò di essere pastore, un buon pastore. Poi, Il programma che ho in mente, insieme a tutti i membri del Sinodo, sarà quello di avere una strategia molto chiara per la Chiesa armeno-cattolica affinché ci si possa rinforzare e rinnovare per mettere in campo un apostolato missionario. Dobbiamo servire la nostra comunità che ha sofferto soprattutto in questi ultimi trent’anni. In molti, hanno dovuto lasciare ogni cosa per andare alla ricerca di una nuova terra, di nuove possibilità di vita. Come Papa Francesco oggi mi ha accennato, il popolo armeno ha questa esperienza della sofferenza e sa come rinnovarsi e ricostruirsi. Per noi, dunque, è una sfida assistere tutte queste persone che si trovano nella diaspora e radunarle nella loro casa, che è la Chiesa.
Quali sono oggi i punti di forza della Chiesa armeno-cattolica?
Ci sono punti di forza diffusi: nella diaspora come nei Paesi ex sovietici in cui esiste una fede così profonda che io, da sacerdote, mi vergogno per non riuscire ad esprimermi con la stessa loro profondità. C’è una fede nascosta, nella loro anima, che si vede esplodere nelle cerimonie. Laddove c’è persecuzione, c’è più fede e attaccamento alla Chiesa universale.
La Chiesa armeno-cattolica non è presente solo in Armenia e in Medio Oriente ma anche in tutte e due le Americhe, nell’Europa e nell’Europa orientale. Quale sarà il suo sguardo sulle vicende umane di questi luoghi spesso devastati da tensioni e conflitti?
Rispondo esprimendo una mia convinzione personale: la guerra è espressione della debolezza umana perché, quando non riesco a far passare la mia visione delle cose, finisco per litigare. Invece, ci vuole un’educazione molto più profonda in grado di spiegare la pace. Se io voglio fare la pace per degli interessi, non mi riuscirà mai, ma se io faccio la pace con il nemico dopo aver camminato insieme verso Dio, allora troveremo la pace giusta. Questo sarà anche il mio nuovo compito: chiedere di poter camminare insieme per poter arrivare alla pace vera.
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