In Molise, il primo raduno di eremite e eremiti italiani
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
“L’eremita è lontano da tutti, per poi essere vicino a tutti. Sta da solo, perché nessuno resti solo”. In questo antico motto si condensa il significato del primo raduno degli eremiti italiani, un evento ecclesiale unico nel suo genere, che si è svolto dal 16 al 19 settembre presso il Santuario di Castelpetroso, in Molise, su iniziativa dell’arcivescovo di Campobasso-Bojano, mons. Giancarlo Maria Bregantini. Circa quaranta tra eremite e eremiti, provenienti da tutt’Italia, si sono ritrovati per mettere in comune le proprie esperienze, raccontare le motivazioni che li hanno portati a scegliere questa vocazione, spiegare perché e come vi hanno aderito e descrivere il luogo dove svolgono la loro ascesi e il loro servizio alla Chiesa. L’incontro nasceva, per volere della diocesi, come un piccolo “Cammino sinodale specifico”, proprio perché fratelli e sorelle eremitiche potessero dare il loro contributo, redigere le loro proposte, in vista del Sinodo della Chiesa universale del 2023. I lavori, scanditi da celebrazioni eucaristiche e Lectio bibliche, si sono chiusi domenica 19 settembre con un messaggio rivolto a tutti gli eremiti in Italia, come segno di incoraggiamento e vicinanza, e alle Chiese particolari italiane, perché si aprano a questa nuova feconda vocazione. “Il fenomeno dell’eremitismo – ha spiegato mons. Bregantini – interroga la Chiesa su come rispondere al bisogno di spiritualità che si registra oggi nel tessuto quotidiano dei nostri fedeli”. Proprio l’arcivescovo di Campobasso-Bojano, ha raccontato ai microfoni di Radio Vaticana/ Vaticannews la genesi del primo raduno degli eremiti italiani.
L’idea di organizzare il raduno è nata da due impulsi. Da una parte la mia esperienza di vescovo in Calabria, una regione che fin dal primo millennio è sempre stata terra di eremiti. In quei luoghi la pratica dell'eremitismo è stata riattivata negli ultimi vent’anni, con grandissimo frutto sul fronte della lotta sociale contro la mafia e su quello del rilancio della preghiera silenziosa. L'altro impulso fondamentale è stato che qui nella mia diocesi di Campobasso c'è una suora eremita, Suor Margherita, appartenente alla congregazione delle Poverelle di Bergamo, eremita a Sant’Egidio, sopra Bojano, che – insieme a molti altri eremiti e eremite – ha avvertito il desiderio di organizzare questo incontro. Io l’ho coordinato e lei l’ha tenacemente realizzato: quindi una bella sinergia che ci ha permesso questo meraviglioso momento.
Come spiegare il recente aumento delle persone che scelgono di vivere così la loro fede?
La crescita del fenomeno, si parla di circa trecento eremiti in tutt’Italia, si accompagna secondo me a una duplice analisi. Da una parte la grande difficoltà vocazionale che si registra nei grandi conventi, come quello di San Benedetto a Montecassino, mentre le richieste di eremitismo alle istituzioni ecclesiastiche aumentano. Una situazione che già di per sé pone degli interrogativi. Poi c’è un altro aspetto: diminuiscono i fedeli alla Messa domenicale e aumentano i fedeli nei santuari. Io penso che i due fenomeni: l’aumento dell’eremitismo e la grande frequentazione dei santuari siano esemplarmente segni di una grande serietà liturgica e che rivelino il bisogno di una preghiera ‘fatta bene’, senza l'orologio, la necessitò di intensità eucaristica e soprattutto di Lectio biblica. L’attuale mondo religioso mi pare scosso da queste esigenze spirituali. La domanda è allora come rispondere in termini di qualità al bisogno di spiritualità che si registra oggi nel tessuto quotidiano dei nostri fedeli. Gli eremiti sono, secondo me, a questo proposito, un segno profetico per la Chiesa: ci dicono che dobbiamo puntare di più sul silenzio, sulla preghiera, sulla qualità liturgica – “meno Messe più Messa”, recitava un antico motto – dobbiamo puntare sull’Adorazione e poi sull'ascolto, tramite il cuore aperto, della Parola di Dio. L’eremita, infatti, vive di tre cose: dell’ascolto di Dio e della sua Parola, dell'ascolto della gente e dell'Adorazione eucaristica, della contemplazione.
Quindi l'eremitismo non è una ‘fuga mundi’?
Direi proprio di no: anzi, per fare un esempio, in genere gran parte delle donne consacrate che poi diventano eremite sono state prima consacrate alla vita cenobitica, comunitaria. Io ricordo che una di queste eremite mi chiese un giorno: ‘Ma è fuga la mia?’ Io le risposi di no, perché lei doveva essere grata alle sue sorelle che, durante la vita in comune, le avevano messo le ali della speranza. ‘Ora – le dissi – con queste ali tu vola!’. Fu un’espressione profetica che uscì dal mio cuore e che commosse tutti i presenti. La scelta dell’eremitismo perciò non è mai fuga, perché è maturazione, è l’esperienza più grande di una vita già consacrata che diventa ancora più radicale quando il cuore della persona capisce che Dio vale più delle cose da fare. Debbo dire che quello degli eremiti a Castelpetroso è stato un evento ‘sinodale’, proprio in linea con quanto chiede il Papa e credo sia un’esperienza che segnerà il futuro della Chiesa italiana.
Quanti eremiti hanno partecipato all’incontro?
Più o meno una quarantina, anche se non tutti hanno potuto essere presenti tutte e quattro le giornate. Abbiamo dato molto spazio ai racconti personali che sono stati l’uno diverso dall’altro. Questo perché è l’eremita che fa il luogo ma è anche vero il contrario: è il luogo spesso a fare l’eremita. C’è chi sceglie l’eremitaggio in cima a un ‘cocuzzolo’, oppure in città o vicino a un villaggio. Conseguentemente cambia il suo modo di vivere. Questo è molto bello, praticamente ogni storia di eremitismo è una storia a sé. Però le tre cose che ho detto prima: ascolto di Dio, ascolto del prossimo e Adorazione, sono i tre elementi costanti, assieme a una vita sobria e di grande cura del Creato.
Gli eremiti come “sentinelle della natura”?
Credo che oggi i più grandi custodi del creato siano i contadini e gli eremiti. Questa esperienza ci dice veramente come oggi chi ama di più il creato, chi lo difende, chi coltiva i campi e alleva gli animali, con semplicità, sono proprio le eremite e gli eremiti. Si tratta in fondo della maturazione della cura e dell’attenzione che già san Benedetto aveva per la realtà del proprio territorio. In questo senso l’eremitismo è anche un antidoto all’abbandono dei borghi antichi, ormai spesso spopolati, un contributo per valorizzarli.
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