La beatificazione a Catanzaro di Nuccia Tolomeo e Mariantonia Samà
Debora Donnini – Città del Vaticano
C’è un elemento comune che segna la vita di Gaetana Tolomeo e Mariantonia Samà: la sofferenza. Vi sono entrate in modo diverso, ambedue in forma progressiva, così da diventare “somiglianti a Cristo”. Risuonano nella Basilica dell’Immacolata di Catanzaro le parole del cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, alla Messa per la beatificazione delle due donne. Quella della santità, rimarca, è “la storia della forza di Dio nella debolezza umana”.
Nuccia Tolomeo e il segreto della gioia di vivere
Gaetana Tolomeo, detta Nuccia, nacque proprio a Catanzaro nel 1936. In tenera età fu colpita da paralisi progressiva e deformante; per cercare una cura fu mandata a Cuneo, da una zia. Tornata a casa, vide che suo padre non accettava la sua condizione fisica e decise di offrire tutto per la sua conversione. Diede senso alla propria vita pregando per tutti quelli che glielo chiedevano. Dal 1994 divenne anche una voce nota su «Radio Maria», intervenendo spesso in un programma. E’ morta nel 1997. Una donna che per amore di Cristo “trasformò la sua disabilità in apostolato per la redenzione dell’uomo. Ripetendo: Ti ringrazio Gesù di avermi crocifissa per amore, divenne ella stessa un esempio di gratitudine per la vita ricevuta”, afferma il porporato nell’omelia. “Sono Nuccia – diceva – una debole creatura in cui si degna operare ogni giorno la Potenza di Dio”. “In effetti - nota il cardinale Semeraro - la sua vita terrena fu ricca non di eventi e opere grandiose, ma di grazia e di adesione totale al volere di Dio nella semplicità quotidiana”. Due mesi prima di morire diede ai giovani di Sassari questo messaggio: “Ho 60 anni, tutti trascorsi su un letto; il mio corpo è contorto, in tutto devo dipendere dagli altri, ma il mio spirito è rimasto giovane. Il segreto della mia giovinezza e della mia gioia di vivere è Gesù. Alleluia".
Mariantonia e l'amore che fa nascere l'amore
Mariantonia Samà, nata a Sant’Andrea Jonio in provincia di Catanzaro nel 1875, si ammalò ancora ragazzina, per un’infezione contratta bevendo a un acquitrino. Fu guarita per intercessione di san Bruno di Colonia, dopo essere stata portata a Serra San Bruno, dove il fondatore dei Certosini è venerato. Una vita povera e semplice, quella di Mariantonia, che per tanti è stata maestra di preghiera. Era conosciuta come la monachella di san Bruno. “Conformandosi in tutto alla divina volontà, ella amava ripetere: ‘Tutto per amore di Dio’”, ricorda il cardinale Semeraro sottolineando che “la sua sofferenza offerta per amore produsse in quanti la conoscevano un potente impulso di carità sicché attorno a lei esplose l’amore”. Lei accoglieva con gioia chiunque volesse entrare nella sua casa e d’altra parte l’intero paese si mobilitava per accudirla. “Ci fu così un meraviglioso scambio di doni e questo perché l’amore fa nascere amore”. Mariantonia, dunque, visse tutto come un dono, divenendo lei stessa dono per gli altri. “La santità è, come insegna Papa Francesco – conclude il cardinale Semeraro - proprio l’incontro della debolezza umana con la forza della grazia”.
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