Ouédraogo: in Burkina Faso la preghiera è la risposta alle armi
Michele Raviart - Città del Vaticano
L’apertura del Sinodo da parte di Papa Francesco ha portato a Roma vescovi provenienti da tutti continenti. Per l’Africa era presente anche il cardinale Philippe Ouèdraogo, arcivicescovo di Ouagadagou in Burkina Faso che, in veste di presidente del Secam, l’organizzazione che riunisce le conferenze episcopali di Africa e Madagascar, ha incontrato il Pontefice insieme al vicepresidente, monsignor Lùcio Andrice Muandula, vescovo di Xai-Xai in Mozambico e al segretario il reverendo Henry Akaabiam. Al termine della visita lo abbiamo incontrato:
Eminenza, come è andato l’incontro con il Pontefice e cosa ha significato per tutta la Chiesa d'Africa?
Siamo stati invitati per l'apertura ufficiale del Sinodo dei Vescovi. Ogni continente doveva mandare una delegazione di dieci persone. Per questa ragione noi siamo a Roma. Abbiamo chiesto un incontro al Santo Padre al nome del Secam. Siamo 500 diocesi in tutta l'Africa e in Madagascar, 38 Conferenze episcopali e poi circa 30.000 sacerdoti e 70.000 consacrati. Abbiamo chiesto di incontrare il Santo Padre perché è il padre della famiglia! L'assemblea del Sinodo africano del 1994 e l'Esortazione Apostolica Ecclesia in Africa ha infatti affidato a tutta la Chiesa in Africa e Madagascar una scelta pastorale fondamentale: Chiesa, famiglia di Dio. In una famiglia, c'è un padre di famiglia e il Santo Padre successore di San Pietro è il padre di famiglia e il consiglio di presidenza del Secam ha voluto incontrarlo per condividere le nostre gioie e le nostre sfide - ce ne sono tante in Africa - e lui ha ascoltato volentieri e amichevolmente le nostre suppliche sia a livello dell'evangelizzazione, sia di problemi sociali e sociopolitici, come giustizia e pace. E' stato un incontro amichevole di fiducia, di comunione e lui ci ha dato tanti consigli. Si vede che ama la Chiesa. Ama la Chiesa in Africa e ci incoraggia ad andare sempre avanti e mai indietro!
Qual è la situazione in Burkina Faso e qual è il lavoro da fare per la riconciliazione, visto l’aumento del terrorismo islamista che negli ultimi mesi sta devastantando l'area del Sahel in Africa occidentale?
La situazione è drammatica. Dalla Nigeria, con Boko Haram, questi uomini sono andati dappertutto soprattutto nell'Africa occidentale, soprattutto Mali, Niger e Burkina Faso. Ci dobbiamo confrontare costantemente con il problema della sicurezza e della pace. Tanti i terroristi che uccidono i loro fratelli e sorelle ogni settimana. Ultimamente in un villaggio nel nord del Burkina Faso, di notte, hanno ucciso 131 persone. Questo è drammatico, perchè uccidono i loro fratelli. Per quale motivo? Chi c'è dietro a questi uomini? Chi li aiuta? Noi non fabbrichiamo i kalashnikov in Burkina. Tutto questo materiale viene da fuori. Chi dà questi soldi, chi mantiene questo movimento? Dovremmo riflettere e manifestare più solidarietà per essere capaci di affrontare le difficoltà e le sfide di questo mondo. Noi cerchiamo di pregare, perché il nostro "kalashnikov" di risposta è la preghiera, dico sempre così! Poi prendiamo altre iniziative per sostenere i fratelli che hanno lasciato la loro terra. Hanno perso tutto: 1.400.000 rifugiati hanno lasciato le loro terre nel nord del Ppaese e sono scesi nel sud e questo è un dato drammatico. Localmente facciamo qualcosa. Contiamo anche sulla solidarietà sia regionale sia internazionale. La nostra è una chiamata.
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