Il silenzio di Dio nelle grandi religioni mediterranee tra alterità e compassione
Michele Raviart – Città del Vaticano
Come si può spiegare il “silenzio” di Dio, di fronte al male e alle sofferenze patite dall’umanità? Una domanda che è da sempre al centro della riflessione teologica, tornata con forza in questi due anni segnati dalla pandemia e alla quale cerca di rispondere il volume “Il silenzio di Dio come alterità e compassione. Indagine interreligiosa” di monsignor Samuele Sangalli, officiale della Congregazione per i vescovi, presentato questo pomeriggio a Roma presso la chiesa di S.Maria in Campitelli.
S.Maria in Campitelli, Chiesa del dialogo
Un luogo ideale per ospitare un evento di dialogo interreligioso, quello della Chiesa che ospita l’icona di Santa Maria in Porto, sia perché durante la seconda guerra mondiale ospitò alcuni ebrei perseguitati provenienti dall’adiacente quartiere ebraico sia perché uno dei chierici regolari della Madre di Dio, alla quale è stata affidata la Chiesa dal XVII secolo, padre Ludovico Marracci, fu autore di un’importante traduzione del Corano in latino, che fu per secoli alla base per le altre traduzioni nelle varie lingue europee.
Il silenzio incontro tra luce e tenebre
L’idea alla base del volume è quella di confrontare tre figure delle grandi religioni monoteiste – Santa Teresa di Lisieux per il cristianesimo, il teologo ebreo del novecento Andrè Neher e il mistico sufi Jalâl âl Dîn Rûmî del XIII secolo per l’islam, cercando i punti in comune e le differenze sul rapporto tra parola, ascolto, Dio e fedeli. Il silenzio, spiega il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, è “il punto d’incontro” tra luce e tenebre, vita e morte e, come sostiene il titolo del volume, alterità e compassione. Non poter più dire, non poter più parlare, afferma il porporato, lascia lo spazio al divino. È il caso delle sofferenze di Teresa di Lisieux, negli ultimi mesi di malattia, in cui “Dio si fa vicino nell’assenza vissuta”.
"Fuoco nero su fuoco bianco"
Il silenzio poi, spiega il rabbino Benedetto Carucci Viterbi, preside delle scuole ebraiche di Roma, è una condizione essenziale per l’ascolto e quindi per il dialogo. Così come nella tradizione rabbinica si dice che la Torah “è fuoco nero su fuoco bianco” – il nero dell’inchiostro e delle parole e il bianco degli spazi – la parola di Dio e la sua assenza fanno entrambe parte della rivelazione. Non solo: quando Dio sceglie di non parlare di fronte a tragedie, lascia lo spazio all’uomo e così si mette in relazione con lui.
Il Dio che ascolta
Uno dei nomi di Dio nell’Islam, spiega Abdellah Redouane, segretario generale del Centro culturale islamico d’Italia, è “colui che ascolta”. Un ascolto silenzioso delle sofferenze, della supplica e dei pentimenti dei fedeli. Si fa vicino all’uomo nell’accogliere le preghiere, in un modo che Rûmî definisce “inesprimibile a parole”, perché “solo al silenzio è dato intendere”.
Nel segno della Fratelli Tutti
In conclusione, spiega ancora il cardinale Ouellet, il libro è un “esempio di creatività, di rigore teologico”, il cui “metodo concreto” è una “grammatica feconda” per promuovere la fraternità. Un passo nel segno di quanto Papa Francesco scrive nell’enciclica Fratelli Tutti, verso un rapporto più ecumenico con i credenti, che non è sincretismo, ma un atteggiamento aperto, rispettoso e fraterno.
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