Pedalando verso il Santuario dei ciclisti
di Filippo Simonelli
Il Giro di Lombardia, la “classica delle foglie morte”, ha una storia secolare che racconta leggende mitiche di grandi campioni e luoghi simbolo del ciclismo, salite iconiche per la loro durezza. Al Lombardia, poi, c’è una salita più salita della altre: non per una questione altimetrica o di gradiente, però. Qui siamo nel campo della mistica vera e propria. Si tratta dalla salita del Ghisallo, un “santuario del ciclismo” e non solo in senso figurato.
La strada che porta al valico in realtà si può percorrere in almeno tre modi, senza contare le tante possibilità offerte dalle varianti secondarie. Ma la salita vera e propria, quella che è tappa fissa del Lombardia, parte da Bellagio, esplora i ripidi colli del comasco fino a raggiungere, dopo un breve tratto in saliscendi, un piazzale diventato sacro ai ciclisti, quello dove c’è il santuario del Ghisallo, dedicato proprio alla Beata Maria Vergine del Ghisallo. Con “il monumento al ciclista” benedetto da Paolo VI il 4 luglio 1973.
La storia di questo santuario è nata con il Giro di Lombardia, quindi più di un secolo fa. La leggenda invece è un po’ più recente. Nel 1945 la parrocchia del Ghisallo aveva accolto un nuovo parroco, don Ermelindo Viganò. Nell’autunno di quell’anno, a guerra finita, riprese il Giro di Lombardia, interrotto solo nel biennio precedente. La gara, che avrebbe incoronato vincitore il padovano Mario Ricci, transitò come di consueto davanti al santuario. E fu questo passaggio a far balenare in mente una grande idea in don Ermelindo: trasformare quel santuario in qualcosa di più, vista l’importanza che aveva per il ciclismo: un vero e proprio “santuario dei ciclisti”.
L’occasione per concretizzare la sua intuizione si presentò nel 1949, quando don Ermelindo incontrò di persona Pio XII. Anche grazie al sostegno dei corridori del Giro d’Italia, che si sarebbe corso di lì a poco, la proposta convinse il Papa che il 13 ottobre di quell’anno elesse e decretò la Madonna del Ghisallo “Celeste Patrona dei ciclisti italiani”. Non è un caso probabilmente che l’edizione di quell’anno del Giro d’Italia, corsa sotto questi auspici, sarebbe diventata una delle più leggendarie. Fu il Giro delle straordinarie cronache di Dino Buzzati, ma soprattutto fu quello della leggendaria Cuneo-Pinerolo, con Fausto Coppi battezzato “l’uomo solo al comando” dalla voce di Mario Ferretti. E una staffetta di ciclisti portò la fiaccola - ancora accesa – benedetta da Papa Pacelli dal Vaticano al santuario: gli ultimi tedofori furono Bartali e Coppi.
Oggi accanto al santuario, che col tempo si è riempito talmente tanto di cimeli ed ex-voto, c’è un vero e proprio museo che li raccoglie e attira i devoti a pedali di ogni parte del mondo. Di patrone dei ciclisti ne sono state elette altre due, una per ognuno dei Paesi dei grandi Giri: in Francia, a Labastide-D’Armagnac, e in Spagna a Leintz-Gatzaga. Negli anni sono stati gli stessi ciclisti a venire, puntualmente, in Vaticano per raccontare ai Papi la storia e le novità del Ghisallo: tra loro Fiorenzo Magni che è stato tra i più appassionati sostenitori dell’importanza per i colleghi più giovani di vivere la spiritualità del Ghisallo.
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