Assisi, padre Piloni: la rivoluzione della tenerezza si chiama misericordia
Eugenio Bonanata e Daniele D’Elia – Città del Vaticano
“Senza i poveri diventiamo sempre più mondanamente sapienti e spiritualmente muti”. Sono parole di padre Francesco Piloni nella terza puntata del ciclo di meditazioni intitolato "Signora Santa Povertà" in preparazione della visita del Papa ad Assisi. La puntata odierna ruota ancora attorno all’incontro di San Francesco con il lebbroso, che rappresenta una pietra miliare nell'itinerario di conversione del poverello. Padre Piloni, già nella puntata di ieri, ha evidenziato quanto dichiarato dallo stesso Santo nell'incipit del suo Testamento. Usando compassione verso questi emarginati ha sperimentato una “dolcezza d'animo” ed è riuscito ad accantonare quel naturale sentimento di disprezzo peculiare, invece, della fase precedente della sua vita.
“Una Pasqua del gusto”, la definisce il ministro provinciale dei Frati Minori di Umbria e Sardegna, l’esordio di una esistenza completamente rinnovata. E non si tratta di una conquista immediata dell'animo, di una elementare intuizione. Come sempre, prima della luce c'è il buio, prima della Pasqua il Calvario, un “deserto educativo e formativo” necessario. È un processo lento, che richiede pazienza e non ammette alcuna scorciatoia: una strada in salita e faticosa.
Padre Piloni sottolinea che è proprio la compagnia dei lebbrosi ad aprire il cuore del poverello d’Assisi. E non tanto la lettura del Vangelo o l’invito rivoltogli dal Cristo a San Damiano. Per il Serafico gli ultimi non sono semplici destinatari di soccorso e conforto, ma sono la porta per arrivare a Cristo. Lui “sceglie” di condividere quella condizione di totale privazione ben sapendo che quella è una “via eccellente per seguire le orme di Gesù”. Rinuncia al suo status privilegiato di mercante, rinuncia all'ambiente nel quale è stato allevato.
San Gregorio esprime magnificamente il concetto compreso da Francesco: “Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina”. E Papa Francesco in un'omelia del 4 ottobre 2013, nella Solennità del Santo, ha spiegato chiaramente che il poverello ha sposato “Madonna Povertà” per “vivere da vero figlio del Padre che è nei cieli”. E sintetizzando, ha continuato: “l’amore per i poveri e l’imitazione di Cristo povero sono due elementi uniti in modo inscindibile”.
C'è una letizia in questo modo di vivere “tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi, tra mendicanti” (FF, 30). E il Serafico esorta i frati, nella Regola, a privarsi di ogni cosa e di vivere esclusivamente di elemosina. In questo c'è la vera imitazione di “Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, onnipotente” che spogliandosi di ogni privilegio divino, “rese la sua faccia come pietra durissima”, e non si vergognò affatto di questa condizione. (FF, 31)
Ecco allora che “i poveri restano la cattedra dei Santi”, afferma padre Piloni il quale ribadisce che sono loro a darci quella sapienza necessaria a comprendere fino in fondo la nostra umanità.
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