Migrantes: il Covid rallenta ma non ferma l’emigrazione dall’Italia
Francesca Sabatinelli e Alessandro Guarasci – Città del Vaticano
La parola chiave della mobilità italiana è complessità. È questa la fotografia rimandata dal rapporto Migrantes sugli italiani nel mondo, quest’anno dedicato alle vittime del Covid-19 e, soprattutto, a tutti coloro che hanno perso la vita lontano da casa. L’emigrazione dall’Italia è stata ridimensionata, ma non fermata dal Covid, ci spiega il volume, che quantifica in oltre 109 mila gli italiani che, nel 2020, nonostante le chiusure pandemiche, hanno lasciato l’Italia, perlopiù per destinazioni europee. L’uscita dalla penisola non è soltanto “fuga di cervelli”, ma qualcosa di molto più articolato, che prescinde da età e da titolo di istruzione. Un fenomeno, si legge nel rapporto che, in gran parte, “è effetto della crisi economica e sociale dell'Italia del 2007-2012, quando la crisi del debito sovrano colpì l'Italia, negando a molti lavoro e diritti e li ha spinti a cercare fortuna altrove". A descrivere la figura dell’emigrante oggi è Delfina Licata, curatrice del Rapporto: a partire per oltre confine “sono tutti i profili professionali, alla ricerca all'estero di una condizione lavorativa e sicura, che però non è la peculiarità principale". "Si parla di una realizzazione a 360° della persona, che passa anche attraverso una occupazione migliore e una migliore retribuzione; vi è poi anche l'affrancamento da un sistema di vita e la possibilità di realizzare progetti personali e professionali”.
L’inverno demografico
Al primo gennaio del 2021, la comunità di italiani residenti all’estero risultava essere di oltre 5,6 milioni, un 3% in più rispetto al passato; dunque, spiega Migrantes, quella che risiede fuori confine è l’unica Italia che continua a “crescere” grazie alle nuove nascite da cittadini già residenti all’estero. Il numero degli italiani all’estero, si legge ancora nel rapporto, è praticamente pari a quello degli stranieri in Italia; emerge inoltre “come la pandemia abbia avuto importanti ripercussioni sulla popolazione italiana e su quella straniera presente nel Paese” e come oggi, dopo circa venti anni di crescita ininterrotta, “anche la popolazione straniera si ridimensioni e non riesca più a compensare l’inesorabile inverno demografico italiano". Nonostante i numeri si equivalgano, è opinione di monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione per le Migrazioni della Conferenza Episcopale Italiana e della Fondazione Migrantes, "si fatica a condividere". "Si preferisce distinguere tra 'noi' e 'gli altri', più che di parlare solo di noi, in termini di diritti, opportunità, cittadinanza". L’Italia, prosegue Perego, dovrebbe inoltre interrogarsi “su un fenomeno che sta spopolando sostanzialmente le città, soprattutto in quella fascia che è quella produttiva, quella giovanile”.
Il doppio problema del sud d’Italia
La pandemia ha rallentato, ma non fermato, la mobilità italiana, aggiunge Delfina Licata soffermandosi su chi parte e i luoghi in cui si reca. “Abbiamo partenze soprattutto fra i 18 e i 34 anni e le strategie di contenimento dei rischi hanno portato ad andare in luoghi più vicini, quindi oltre il 78% si è recato in Europa. Nonostante questo, però, nell’ultimo anno abbiamo registrato 180 destinazioni differenti, di cui ai primi 10 posti, sette sono Paesi europei”. Ma quali sono i territori italiani che risentono maggiormente dell’emigrazione? Le regioni più colpite sono del Nord Italia, come Lombardia e Veneto. Guardando al microcontesto, si vede come “l'impatto diventa fondamentale nei territori interni al Paese, da nord a sud, in particolar modo, però, diventa un doppio problema per il meridione d'Italia, caratterizzato contestualmente da una mobilità verso il nord e da una mobilità verso l'estero”.
La preoccupazione della Chiesa per i giovani
Oltre al profilo del cervello in fuga, cioè di chi, altamente qualificato, arriva in un Paese con un contratto di lavoro e senza alcun problema di inserimento e l’altra figura, quella di chi “ha una bassa professionalità ed è disoccupato o precario in Italia”, e che arriva in Paesi dove, spesso, si ritrova precario o malpagato, andando ad ingrossare le fila di “coloro che tante volte bussano anche alle missioni cattoliche italiane, e sono sempre più numerosi”, c'è un terzo profilo. Monsignor Perego sottolinea che è quello dello studente universitario: “arriva in grandi città con una forte presenza di studenti, che poi divengono lavoratori precari”. Ed è qui che si inserisce la preoccupazione pastorale della Chiesa italiana, segnata dalla nuova emigrazione giovanile, perché, conclude monsignor Perego, prendendo ad esempio i tanti ragazzi italiani che si trovano nelle carceri britanniche per droga o altro, esiste “un importante problema di disagio giovanile all’estero”.
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