Un Sinodo sulla sinodalità: l'esperienza della Georgia
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
“Siamo chiamati a camminare insieme, ad ascoltarci, a parlare, è uno stile dell’essere Chiesa. E’ la sinodalità”. Le parole sono di monsignor Giuseppe Pasotto, vescovo di Tblisi e amministratore apostolico per il Caucaso dei cattolici di rito latino, e sono maturate al termine del Sinodo sulla sinodalità che la piccola comunità cattolica della Georgia ha vissuto. Ora tutta la Chiesa è chiamata a compiere la stessa esperienza su questo tema nel percorso che Papa Francesco ha avviato il 9 e il 10 ottobre scorso ufficialmente e che si concluderà nel 2023. Quali le modalità sperimentate, quali i punti di forza e quali le difficoltà vissute in Georgia e come ne è uscita la Chiesa in quanto comunità di fedeli? Monsignor Pasotto ne parla a Vatican News come di “uno stile” acquisito, che è fondamentale:
Monsignor Pasotto un Sinodo sulla sinodalità: come ha accolto questo tema proposto dal Papa e che ne pensa?
Innanzitutto è un tema bellissimo perché vuol dire riflettere sul camminare insieme. E quale è il desiderio più grande di un vescovo se non di camminare di insieme con la sua Chiesa, di condividere le cose e partecipare? Credo sia una cosa che abbiamo dentro e potrebbe essere la cosa che ci rende felice, il camminare insieme. Ma non è facile, ci sono delle difficoltà e dei problemi in ogni momento, e bisogna anche avere idee e delle scelte da fare per camminare insieme. È davvero comunque la cosa più importante…Il Papa quindi ha puntato su una cosa molto molto importante per la nostra chiesa.
In realtà voi come Chiesa in Georgia un Sinodo sulla sinodalità lo avete già vissuto. In che modalità e come è andata?
Sì, era un desiderio che sentivo da tanto tempo. C’è anche da dire che la Chiesa in Georgia è più piccola e dunque è più facile attuare certe iniziative. Quindici anni fa io ho chiesto di poter fare il primo sinodo della storia del Paese, non era mai stato fatto. E abbiamo fatto un lavoro bellissimo di un anno e mezzo. Abbiamo organizzato momenti di discussione in tutte le comunità e una lunga riunione tra 80 rappresentanti di diverse realtà, una esperienza residenziale che ha portato a delle scelte precise. E’ stata per me una esperienza molto bella: stare insieme, ascoltare e accogliere le proposte che ne sono nate e che mi sono state consegnate. Ricordo che anche le tre direttive principali che ne sono nate, il coraggio della comunione, il coraggio della formazione e il coraggio del servizio, sono state quelle che anche oggi guidano la nostra Chiesa. A circa dieci anni da quel primo sinodo mi sono detto: in tanti, specie i giovani, non hanno fatto quella esperienza o non se la ricordano, come fare dunque a far capire l’importanza del camminare insieme? Poi, c'è da dire anche che siamo abituati tra cattolici che il sinodo è una esperienza rara e che la sinodalità intesa come lavoro insieme si fa solo in determinati momenti e allora, spinto anche dal fatto che in Georgia mi confronto con protestanti, luterani, battisti che fanno il sinodo molto spesso, anche se lo intendono in modo forse diverso, ma puntano molto su questo concetto…allora è nata l’dea di fare proprio un nuovo sinodo dedicato alla sinodalità. Un anno e mezzo di riflessione sulla sinodalità della Chiesa fino ad arrivare a sentire che bisogna camminare insieme, che vi siamo chiamati, e poi anche a vedere cosa ne poteva nascere. La Commissione ha fatto lavorare me e tutti: i fedeli e le comunità si riunivano dopo la messa, abbiamo avuto incontri con diverse personalità, teologi, vescovi che ci hanno portato la loro testimonianza. Alla fine tutto è terminato con l’Assemblea sinodale di due giorni. Insieme, 80 persone, a fare delle scelte per dare continuità alla sinodalità, scelte che mi sono state consegnate perché diventassero prassi. La scelta principale è stata che quel lavoro di oltre un anno, terminato in un’Assemblea che decide, viscerare un tema e arrivare a decisioni che valgono per tutti, è diventato prassi e ogni anno si fa così.
Dunque le tre direttive che il Papa ha citato per il sinodo in corso, cioè “ascolto, ricerca e proposta” per la Chiesa tutta, voi le avete già vissute e sperimentate nel vostro piccolo?
Sì, noi abbiamo avuto la fortuna di poter vivere questa esperienza anche perché la nostra situazione non è quella di tante diocesi grandi con un lavorio più lungo. Noi siamo più snelli nel proporre, nel partire e nel fare…ma con molta semplicità comunque.
Frutti e difficoltà…..per fare un bilancio di questa esperienza. Quali sono stati?
Il frutto è che ogni anno, nonostante la fatica, alla fine siamo tutti contenti di vivere questa esperienza che si ripete. All’inizio c’è appunto la fatica di metterci in moto: creare una Commissione, scegliere un tema che propongo io dopo l’ascolto della comunità, e rimetterci a lavoro. Ma la fatica scompare quando si arriva all’assemblea sinodale a settembre e tutti dicono: “Ma che bello che è stato!”. Come l’anno scorso che ci siamo detti: non molliamo questo stile, teniamocelo stretto perché è la nostra salvezza, è il nostro essere Chiesa.
Pazienza dunque e fatica. L’ascolto lo richiede. In una realtà di Chiesa così diversificata come in Georgia questo percorso sulla sinodalità ha anche riflessi nei rapporti con le altre Chiese?
Come successo due anni fa, quando abbiamo scelto di fare un percorso sulla santità,cioè sul cosa vuol dire farsi santi in Georgia, sceglieremo presto probabilmente anche il tema della “comunione” con le altre Chiese e ci lavoreremo. Per il resto, credo che, al di là dei temi, il frutto più bello è imparare a fare sinodo, a camminare insieme, a stare insieme, ad ascoltarci e anche a parlare, perchè non sempre i fedeli sono portati a parlare. Qualcuno ha paura di esprimere le proprie idee. Poi però quando si arriva a capire e a dire: “Questa è la mia Chiesa e anche io devo dare il mio contributo in questo cammino insieme", allora tutto diventa facile.
Si tratta di una vera e proprio rivoluzione di impostazione per questo sinodo voluto da Papa Francesco e confermata dalla vostra esperienza: un percorso che nasce dal basso e va verso l’universalità…
La cosa credo importante per tutti è che il sinodo sia la voce di tutti, cosa bella e difficile insieme. Uno stile da acquisire….al di là delle capacità di agire che come singoli possiamo avere.
Ora con la vostra esperienza fatta vi ritrovate in un cammino più ampio sullo stesso tema. Come lo vivrete?
Noi cammineremo a fianco della Chiesa, ne trarremo le esperienze che si faranno, e dato che il tema della sinodalità lo abbiamo già affrontato, lo tratteremo indirettamente per così dire. Abbiamo pensato di riflettere in questi due anni su temi paralleli alla sinodalità, che però ne fanno parte: il tema della partecipazione, per esempio, della comunicazione e della condivisione. Tre temi che in fondo sono sinodalità, cioè partecipazione. E farci aiutare come Chiesa nella formazione, da specialisti e esperti. Quindi vivremo indirettamente la sinodalità. Raccoglieremo esperienze e a conclusione invieremo quanto sarà emerso.
Possiamo dire dunque che alla Chiesa in Georgia un sinodo sulla sinodalità abbia fatto bene?
Sì posso dirlo. Ci sono nella Chiesa le strutture per la sinodalità, i vari Cnsigli, ma non è solo questione di strutture bensì di creare una mentalità e credo sia questo che ha in cuore il Papa. Una mentalità da acquisire più che le cose tecniche: la mentalità è che io non posso camminare da solo, e questo vale per un vescovo, un prete, un laico. Per tutti.
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