Rabbino e cardinale in dialogo sulla pandemia: il vaccino è un dovere religioso
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Nessuno si salva da solo”. Le parole di Papa Francesco, rese evidenti dalla tempesta della pandemia che tuttavia non sembrano aver trovato ancora un’applicazione pratica, hanno fatto da sfondo al dialogo di ieri tra il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, e il cardinale José Tolentino de Mendonça, bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Rabbino e cardinale si sono ritrovati uno di fronte all’altro nel Museo ebraico, cuore del ghetto capitolino, per un incontro in occasione della Giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei, durante il quale è stato ribadito – tra le altre cose – l’incoraggiamento alla vaccinazione quale “dovere religioso”, ancor prima che etico e sociale.
De Donatis: attivare gli anticorpi dell'odio
Un’ora esatta la durata dell’appuntamento, trasmesso in streaming, senza pubblico, scandito da interessanti conversazioni e analisi sul tema “Le risorse spirituali e umane di ebraismo e cristianesimo, alla prova della pandemia”. Tema sviluppato in un’ampia riflessione a due voci su quali tratti delle due religioni o del patrimonio comune possono concretamente essere oggi chiave di lettura e spunto d’azione in un tempo incerto e sospeso.
Ad aprire l’evento – moderato da don Marco Gnavi, incaricato dell’Ufficio per ecumenismo, dialogo interreligioso e nuovi culti della Diocesi di Roma – è stato il cardinale vicario, Angelo De Donatis, che guardando al luogo e al suo “richiamo vivo all’abisso della Shoah”, ha concentrato lo sguardo sull’attualità: “Quando con dolorosa sorpresa simboli di morte come la svastica nazista vengono riesumati, abbiamo il dovere di indicare le linee di demarcazione tra il bene e il male”. Come i vaccini odierni che vanno ricalibrati sulle “nuove varianti del male”, così bisogna attivare “gli anticorpi all’odio” cresciuti in questi decenni. “La loro efficacia - ha detto il vicario - è legata al vaccino della coscienza, della cultura, delle scelte generose e coraggiose, alla purificazione delle sostanze tossiche che inquinano linguaggi e pensieri”.
Di Segni: la vaccinazione, il sistema per difendere la società
Di coscienza ha parlato anche il rabbino capo Riccardo Di Segni che, richiamando il tema dei vaccini e delle polemiche e dubbi che li accompagnano, ha detto: “Meglio affrontare un minimo rischio per salvarsi da un rischio molto più grande”. Logica valida ai tempi della vaccinazione di Jenner contro il vaiolo, come pure oggi: “La novità degli ultimi decenni è la coscienza che la vaccinazione di massa produce la cosiddetta immunità di gregge, quante più persone sono vaccinate meno si diffonde la malattia e meno potrebbe colpire chi non può essere vaccinato per vari motivi. La vaccinazione non diventa il sistema per difendere me stesso ma la società”. Il discorso della solidarietà sociale e dell’impegno verso gli altri da “discorso laico” diventa discorso “etico” che “ci interroga profondamente nella qualità di persone che si affidano a una fede”. “Se esiste da parte scientifica una assicurazione in questo senso, è un dovere religioso”, ha affermato RavDi Segni.
Interrogarsi sul senso della vita
Dal rabbino capo di Roma l’invito, quindi, ad un cambio di prospettiva: “Ogni evento negativo, non deve passare inosservato. Non deve generare solo il lamento ‘oh, come sto male’, ma suscitare una riflessione: ‘A che punto sto nella mia esistenza? Siamo chiamati a interrogarci sul senso della vita, sul senso di quello che stiamo facendo. Ogni evento negativo deve essere un campanello d’allarme, una sveglia”. Perché, come ha detto più volte il Papa, peggio della crisi c’è solo il rischio di sprecarla. Di Segni, sulla stessa scia, ha esortato a non inseguire il desiderio di “tornare come prima” ma a tornare ad essere “migliori”, visto che i due anni di pandemia hanno fatto emergere i lati peggiori dell’umanità. Tra questi, per il rabbino, anche “la folle caccia ai responsabili”, agli “untori”, e la corsa a “identificare la colpa di qualcuno per scaricare le tensioni”. “Si sfrutta la crisi per trovare una finta solidarietà, una solidarietà di odio, stare insieme per odiare qualcun altro. È un’esperienza mostruosa”.
Tolentino: una rivoluzione dopo la catastrofe
Per il suo intervento il cardinale José Tolentino de Mendonça è partito invece dai “numeri impressionanti della mortalità associati al Covid”: più di 5 milioni e mezzo, secondo la John Hopkins University. Proprio dinanzi a queste sofferenze improvvise “siamo chiamati ad attivare e scoprire le risorse spirituali e umane” per il futuro: “Dopo ogni catastrofe affiora una rivoluzione culturale… Deve farsi strada un’altra maniera di vedere il mondo. E la pandemia ci trasferisce a un nuovo livello della storia. Non possiamo credere di poter ritornare al mondo di ieri e che la situazione si risolverà semplicemente con qualche ritocco al sistema”. Lo affermava già Simone Weil riflettendo sulla ricostruzione materiale e spirituale dell’Europa post-bellica: “Per la filosofa non sarebbe stata sufficiente la vittoria militare per un nuovo effettivo inizio ma si imponeva un ripensamento globale su quanto avvenuto. La sconfitta diventa vittoria soltanto se ci apre a un nuovo radicamento e un profondo cambiamento di civiltà”.
Una "prova" per le religioni
Nel concreto significa “allargare il nostro orizzonte di coscienza” e capire che la pandemia non si gestisce solo dal punto di vista sanitario, ha affermato Tolentino. Il dialogo interreligioso rappresenta “un’esigenza urgente” in tal senso. Il primo passo è “riscoprire” l’affidabilità di Dio e non ridurre Dio a “uno psicoterapeuta” e la religione a “una forma di benessere emozionale”: “Il Dio biblico è padre e madre su cui contare”. La pandemia è poi “una prova” per le stesse religioni. Prova non da poco, guardando alla diminuzione dei fedeli, all’impoverimento della vita comunitaria, all’accentuazione dell’individualismo e la disseminazione della paura piuttosto che del rafforzamento della fede. Il fine è riscoprirsi “tutti fratelli”, ha concluso il cardinale: “In un mondo frammentato da logiche di blocchi e interessi di parti, la crisi ci aiuta a vedere che non ci salviamo da soli. Dobbiamo sostituire la cultura dell’ostilità con una cultura dell’indipendenza e della fraternità”.
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