Bombe nel foggiano, il vescovo: questa città può e deve rinascere
Antonella Palermo - Città del Vaticano
"La paura non deve condizionarci". Così, il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese giunta lunedì nella città pugliese dopo i nove attentati compiuti dall'inizio dell'anno ai danni di commercianti ed imprenditori di Foggia, San Severo e Vieste. Una nuova stagione di esplosioni che ricorda i fatti di due anni fa, quando gli attentati dinamitardi terrorizzarono gli operatori economici che avevano deciso di ribellarsi alla logica del 'pizzo'. Lamorgese, che invierà a Foggia 50 poliziotti, ritiene fondamentali i sistemi di videosorveglianza ad alta definizione, per questo annuncia lo stanziamento di fondi nazionali per 80 milioni. Tra i vertici dello Stato, anche il procuratore della Dna Cafiero de Raho che ha sottolineato l'altissima pericolosità delle mafie foggiane.
Pelvi: un grido non di rabbia ma di fiducia
La giornata di eri è stata l'occasione per presentare anche una neonata associazione antiracket dedicata ai fratelli Luigi e Aurelio Luciani, vittime innocenti della strage di mafia del 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis. A dare una chiave di lettura di quanto sta accadendo sul territorio, ma soprattutto a lanciare la sfida del riscatto, è monsignor Vincenzo Pelvi, arcivescovo di Foggia-Bovino.
Come commenta la raffica di bombe ai danni di imprenditori e commercianti della zona, la recrudescenza di un fenomeno che sembra possa avere un'unica matrice criminale?
Noi viviamo in un tempo di grande difficoltà, viviamo nel bisogno e nella precarietà. Ci sono tante famiglie giovani che veramente soffrono una povertà di cuore ed educativa. Ma Foggia non può essere solo quello che viene presentato in questi giorni. E' vero, ci sono dei condizionamenti perversi della criminalità, comportamenti asociali, una incidenza aggravata delle illegalità diffuse, un impoverimento del potenziale umano giovanile, tanto che Foggia sta diventando un centro di anziani, i pochi giovani investono altrove le proprie attese e capacità. Allora, il grido di questi giorni è un grido non di rabbia ma di fiducia. Bisogna vedere il futuro di Foggia in maniera un poco più luminosa. Noi non abbiamo bisogno di chiuderci dentro delle protezioni, di perderci in dei privilegi. Foggia vive le pieghe, o le piaghe, della corruzione e dentro queste piaghe si nasconde quel disprezzo dell'indistinto che noi chiamiamo "la gente di Foggia". Ma dobbiamo opporre, dico, una resistenza condivisa, critica. Io vorrei che non ci fermassimo alla denuncia ma diventassimo testimoni di quella celerità che ci fa sentire non in superficie, dietro la moda del momento, che non ci abituiamo alla corruzione come se facesse parte della vita normale della nostra società foggiana. E' desiderabile che nasca una reazione, che si ripristini la legalità nel campo delle relazioni sociali. Penso che lo sforzo dello Stato in questi giorni, ma direi anche l'impegno della Chiesa con il suo contributo di rinnovamento sociale e morale a partire dalla testimonianza concreta, credo che tutto questo possa farci superare l'ansia e la paura.
Più nello specifico, come la Chiesa è impegnata nel fronteggiare questo fenomeno?
La Chiesa costruisce il bene della città con una cultura della cura, come ci insegna Papa Francesco, che non esclude. Dobbiamo arricchirci della differenza e in molti ambiti e circostanze dobbiamo imparare a dialogare, incontrarci, ascoltarci. Credo che una delle paure che si respira oggi è proprio la paura dell'altro. L'altro non può essere un lupo ma l'altro è sempre un fratello. Questo è il tipo di formazione che nelle realtà parrocchiali si sta cercando di dare: a lasciarsi interpellare, senza formalismi, dalla storia dell'altro. Io mi chiedo: è possibile un'altra città nella città? Io credo che è possibile. Se noi alleggeriamo il cuore dal nostro egoismo, dalla competizione, da quella falsa cultura di prestigio sociale, io credo che queste logiche diventino sempre più deboli e impopolari. Nella vita pubblica è importante veramente sapere che l'abbandono e la pigrizia non vanno bene. Foggia non è solo abbandono e pigrizia ma è un patrimonio umano, culturale e religioso, una terra di accoglienza. Noi abbiamo tesori originali e impensabili, penso alla risorsa del Gargano soprattutto per il turismo o alla risorsa dell'agricoltura. Questa città non ha niente da invidiare. Ma manca quella tensione, quella meraviglia, quel crescere senza temere gli ostacoli. Così l'imprenditore non sfrutterà l'operario e il lavoratore non aspirerà a diventare borghese. Bisogna andare al di là dell'inganno del consumo, oltre il sopruso e il malaffare. Io credo che ci riusciremo. Non dobbiamo andar via da questa città. La vita non ci lascia da soli in un terremoto ma in una fecondità di cose nuove.
Quale l'appello alle Istituzioni?
Che si continui ad essere presenti e a seminare. Io penso che stiano facendo tanto. Penso all'impegno della Procura, delle Forze di Polizia e a tutto il patto educativo che l'università sta sostenenedo insieme alla comunità ecclesiale per una maturazione del pensiero. Foggia, anche attraverso l'impegno delle istituzioni, deve investire sull'aspetto culturale, che è fondamentale. Se coltiva una fitta rete di prossimità custodirà un capitale di sogni, nascerà l'integrazione di parti della città, l'incontro tra generazioni. Noi abbiamo bisogno della cultura come collante tra una parte ricca e una parte povera, tra chi ha troppo e chi non ha nulla, tra chi è collocato ai vertici e chi è ai margini. Foggia ha bisogno di affetto.
Fondazione Buon Samaritano: è fondamentale denunciare
Tra le realtà sostenute dalla diocesi per fronteggiare il fenomeno, c'è la Fondazione Buon Samaritano, nata nel 1995. Ne è presidente onorario Pippo Cavalieri, che fa parte del Comitato nazionale di solidarietà delle vittime di usura ed estorsione. Nella nostra intervista ricorda un dato eloquente: Foggia è al penultimo posto nella classifica della qualità della vita del Sole24Ore e al primo posto per reati di estorsione. Si unisce a quanto esorta a fare il vescovo: "Se i cittadini non reagiscono - scandisce - non se ne esce".
Cavalieri osserva che il problema usura si è aggravato soprattutto con la pandemia che ha peggiorato la condizione di numerose famiglie. In questo frangente - precisa - i volontari della Fondazione, avvocati, commercialisti e vari operatori, "si sono sacrificati e hanno lavorato tantissimo. Tutti i processi in cui siamo stati presenti costituendoci parte civile si sono risolti tutti con la condanna degli imputati alle pene di giustizia." Spiega che la dinamica è quella consueta: "Molte persone sono state avvicinate da personaggi, ovviamente collegati al mondo della criminalità, che offrivano gratis dei buoni pasto, i cinquanta euro, promettendo aiuti subito. Questa gente ricicla denaro sporco per adescare chi un domani potrebbe rivelarsi utile: si tratta di quello che il ministro dell'Interno ha definito 'welfare mafioso di prossimità'. La criminalità locale è spregiudicata - lamenta - e approfitta del periodo di grande calamità". Il terreno in cui prolifera è fatto di povertà e disoccupazione. "Ma c'è anche la scarsissima reazione dei cittadini che non scendono in campo", prosegue Cavalieri. "Da parte dello Stato l'attenzione è alta ma se non c'è un'attenzione anche dei cittadini la cosa non si risolve.
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