Czerny alla Caritas cambogiana: ascoltare il grido dei poveri, è il grido di Dio
Michele Raviart - Città del Vaticano
Semina, crescita, raccolto. Le tre fasi della coltivazione del riso simboleggiano, nelle parole del cardinale Micheal Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, il lavoro della Caritas cambogiana, in ritiro in questi giorni per riflettere sul tema “Insieme per promuovere una cultura della cura e della fraternità”. Come il seme piantato e innaffiato darà i suoi frutti in futuro, così la Caritas cambogiana, lavora sul campo seminando per il futuro, sforzandosi di trasformare il presente con i semi della solidarietà, della pace e della giustizia mantenendo viva la speranza pronti a condividerla. Nella crescita, c’è la gioia di lasciare che Dio entri nella nostra vita qualsiasi cosa si faccia, mentre nel raccolto c’è “la nuova umanità” che ci si sforza di creare per un mondo più giusto: "Noi realizziamo - afferma il cardinale - nel corso della nostra vita solo una piccola parte della magnifica impresa che è l'opera di Dio. (...) Forse non vedremo mai i risultati finali, ma questa è la differenza tra il maestro costruttore e l'operaio. Siamo operai, non mastri costruttori;aiamo profeti di un futuro non nostro".
Crescere insieme ai poveri
L’auguro del porporato - che ricorda in un videomessaggio come la Caritas Cambogiana non operi da sola, ma in connessione con tutti quelli che nel mondo vivono le stesse aspirazioni e speranze - è quello di andare oltre “le narrazioni tristi, le troppo spesso brutte notizie e ascoltiate il grido dei poveri, che è il grido di Dio e il racconto dei deboli”. “I poveri che accompagnate”, ribadisce, “sono una fonte di preoccupazione ma anche di vita, di creatività e di buone notizie. Ascoltateli e celebrate la buona notizia, condividete le storie, crescete insieme a loro”.
Cura e fraternità
A fare da guida, le encicliche di Papa Francesco Laudato Si’ e Fratelli Tutti, in cui si ricorda che "per noi la sorgente della dignità umana e della fraternità è nel Vangelo di Gesù Cristo”. Cura e fraternità sono infatti i pilastri sui quali ricostruire il Paese, colpito duramente sul piano economico dalla pandemia. Così spiega a Vatican News Padre Alberto Caccaro, missionario del Pime in Cambogia:
Padre, quant’è importante il lavoro della Caritas e della Chiesa per il futuro del Paese?
La Caritas è impegnata sul fronte della cura e della fraternità, che è anche l’impegno della Chiesa in quanto tale. Nell’immediato futuro dovremmo insistere su queste due 'carte', che sono squisitamente evangeliche e si possono giocare in qualsiasi contesto politico e sociale. Mai come in questo periodo, in cui la pandemia ci ha allontanati e ha frantumato la compagine sociale, dovremmo infatti recuperare sia la cura che la fraternità. Serve un percorso di ricostruzione tale per cui ogni istituzione può diventare famiglia e quindi ogni individuo può diventare fratello e sorella. La Cambogia, personalmente, mi ha insegnato a “stare” anche dentro problemi senza soluzione, però a “stare”. Come diceva Papa Francesco qualche giorno fa, “a volte non è possibile guarire, ma è sempre possibile curare, prendersi cura”. Basterebbe uscire di casa per inciampare in un appello di questo tipo. Io spesso mi muovo in moto e “dissemino” Ave Maria, le recito durante i miei tragitti ed è come se il mio rosario si rompesse e i grani di questo rosario cadessero lungo la strada, Ave Maria dopo Ave Maria, laddove incontro, anche solo con lo sguardo, situazioni che meriterebbero una cura. Frammenti di una società che dovrebbero essere ricompattati e ricostruiti e ricondotti all’unico centro che per noi rimane l’amore di Dio e il cui appello è disseminato nel volto di ogni persona che si incontra.
Quali sono le criticità e le sfide umanitarie che si vivono in Cambogia?
Da un punto di vista generale la Cambogia, in questi ultimi anni, ha registrato una certa involuzione democratica. Da un contesto multipartitico si è passati a un partito unico, che è quello dell’attuale primo ministro, che è tale da circa 35 anni. Di fatto questo sta a significando un impoverimento del dibattito politico e del dibattito sociale. Sta venendo meno l’”ermeneutica totale”, direbbe Papa Francesco, cioè una lettura della società secondo tutti i fattori. Questo significa povertà, tanto nelle relazioni quanto nei provvedimenti. Significa anche una certa involuzione.
A questa povertà che potremmo definire “sociale”, c’è anche parallelamente una povertà materiale. Quali sono i problemi da questo punto di vista?
L’economia cambogiana è in grande espansione ed è in grande crescita. Mi sorprende sempre il numero di veicoli in continuo aumento. Il mercato delle auto è in crescita esponenziale. Detto questo, però, abbiamo delle sacche di emarginazione. Per esempio le industrie tessili e dell’abbigliamento impiegano centinaia di migliaia di giovani ragazze, i cui contratti salariali sono ancora molto svantaggiosi. Questo crea caste sociali e quindi l’impossibilità anche di rivendicare i propri diritti. Si creano quindi situazioni di emarginazione. D’altra parte pur di avere un lavoro si è disposti a tutto. Abbiamo anche a che fare con un alto abbandono scolastico – la pandemia recente lo ha moltiplicato – proprio per far fronte alle difficoltà economiche. Non appena c’è l’opportunità di un lavoro, per quanto mal retribuito, ci si precipita, perché è anche l’unico modo per pensare a un futuro diverso. A volte si producono anche documenti falsi per avere l’età giusta per poter essere assunti. Questa è una grossa questione che passa sotto silenzio, certamente per la pandemia, ma più in generale per la situazione politica.
In questo senso qual è la specificità della Chiesa?
La Chiesa evangelizza. Il suo ruolo sociale è quello di evangelizzare, di aggregare attorno al Vangelo e questo ha una potenza inaudita. Sono appena rientrato dalla visita ai Fratelli di Madre Teresa. Loro hanno un centro per l’accoglienza di bimbi diversamente abili alla periferia di Phon Penh. Ho incontrato i 55 ospiti di questo centro, che sono ospiti, ma sono ospiti permanenti, perché hanno disabilità importanti. Spesso sono stati abbandonati dalle loro famiglie o i loro genitori sono morti. Qualcuno dei bambini risiede lì da molti anni. È un impegno caritativo che ha a che fare con la vita di queste persone, che non avrebbero altri luoghi dove poter stare e dove essere accolti. È un impegno evangelico sulla scia di Madre Teresa, ed è un impegno ecclesiale che dice anche della qualità della presenza, della semplicità dell’operare, che non è per nulla eclatante, ma che risponde al valore della persona, che altrimenti non sarebbe riconosciuto. Ci sono infiniti esempi attraverso i quali la Chiesa è presente. Io ad esempio mi occupo di educazione. Abbiamo costruito delle piccole scuole dove offriamo una proposta educativa, perché laddove si possono intercettare dei processi sociali, la Chiesa deve essere presente. È un luogo di annuncio del Vangelo e di presenza della Chiesa attraverso i missionari, lo staff, gli insegnanti cattolici e quant’altro. Sono processi sociali nei quali si gioca il futuro di questo popolo ed è bene che ci sia la voce e la presenza della Chiesa. Abbiamo costruito scuole a misure d’uomo, con un numero di alunni tale per cui nessuno diventerà mai solo un numero, ma sempre solo un nome, una persona, dove i rapporti umani sono vivi e vivificano.
Che impatto ha avuto o sta avendo la pandemia sul tessuto sociale cambogiano?
I numeri in Cambogia sono sempre stati contenuti, però le conseguenze maggiori le stiamo avendo in seguito alle chiusure e sono conseguenze di tipo economico. L’indotto del turismo per esempio ne ha risentito, essendo chiuso il Paese, per i turisti era impossibile entrare. I templi di Angkor Watt potevano avere prima della pandemia qualcosa come cinque milioni di visite all’anno, che ora si sono ridotte drasticamente. Ultimamente il Paese sta riaprendo e quindi contiamo ben presto non tanto di raggiungere gli stessi numeri, ma almeno di riattivare quei processi sociali e anche economici che possono dare fiato alla popolazione. Anche le repentine chiusure della scuola, seguite da riaperture e poi chiusure, hanno comportato una grandissima dispersione scolastica e tanto abbandono. Tenete conto che una giovane ragazza quando comincia a crescere e a terminare le scuole medie, raggiunge l’età delle nozze e se non c’è scuola, non c’è una prospettiva se non l’abbandono. Sono processi che la pandemia ha accelerato. Accanto alla crisi economica, che ha penalizzato tutto quell’indotto estemporaneo e a volte occasionale dei lavori legati al flusso dei turisti, c’è stato anche uno stop al flusso delle merci, avendo quasi tutta l’Europa bloccato le importazioni, soprattutto di vestiario o di beni di consumo facilmente prodotti in Cambogia. Questo ha bloccato la produzione e ha portato alla chiusura di fabbriche. Un problema molto forte in Cambogia è quello dell’indebitamento delle famiglie delle classi povere e meno povere. Ricorrono al prestito, ma forti dell’avere un figlio o una figlia che lavorano in queste ditte, che però se vengono chiuse non hanno più il salario con cui avrebbero dovuto pagare la rata mensile del debito. Finora si è prorogato e posticipato per la pandemia, però presto o tardi ritornerà questa sorta di spada di Damocle. Da un punto di vista sanitario, poi, il Covid ha un po’ inibito anche l’accesso agli ospedali, alle cliniche, alle cure mediche di base e quindi questo ha rallentato anche il follow-up di tante patologie. Ha rallentato le cure e abbassato anche l’attenzione sanitaria. Un fatto che avrà sicuramente delle conseguenze.
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