Firenze. I segni di tutte le guerre nei profughi in cerca di aiuto
Antonella Palermo - Firenze
Accogliere, proteggere e integrare. Le parole ripetute dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, a cui hanno fatto eco quelle del presidente Cei, nel breve incontro privato con un gruppo di una cinquantina di profughi e rifugiati che si è tenuto prima della celebrazione eucaristica nella Basilica di Santa Croce, alla presenza anche del sindaco della città.
Il circuito della fraternità
Si sono fatti trovare riuniti su sedie disposte in circolo nella Sala d'Armi di Palazzo Vecchio, quasi paradossale se si pensa a questa denominazione. Loro che proprio dalle armi fuggono in gran parte, comunque da condizioni di povertà e mancanza di rispetto dei diritti umani fondamentali. Un bambino assai vispo gioca a terra, altri poco più grandi tentano un abbraccio alle loro mamme. Tutti composti, attoniti, spaesati ancora, nonostante abbiano trovato dei ricoveri almeno temporanei in città. Veli e mascherine di protezione nascondono i segni della paura per il futuro, i traumi psicologici, le solitudini incolmabili di affetti lasciati a migliaia di chilometri di distanza. Un circolo di sedie come a disegnare una catena di amicizia sperata. Un circolo senza interruzioni, senza ulteriori strappi, un anello di fraternità. In fondo, di questo si è parlato nelle giornate fiorentine. Ora qui ci sono persone in carne ed ossa, il che richiama proprio a quella missione di Chiesa incarnata che pure tanto è affiorata in assemblea congiunta tra sindaci e vescovi.
Una giovane vedova siriana scrive sul telefono: "hoping for help"
Avvicino due donne, Heba Alammar di 32 anni e sua mamma. Vengono da Daraa, in Siria, la giovane è rimasta vedova. Mi fa vedere le foto di suo marito sul telefonino. E mi scrive il suo nome sul taccuino. Ci sono i due bambini con loro, 5 e 6 anni, Cedra e Abdallah. L'altro più piccolo, di un mese di vita, non c'è. Me lo mostra sul cellulare. C'è voglia di contatto, emettono una implorazione decorosa di aiuto. Il loro italiano è fatto solo di qualche parola. Heba si aiuta con il traduttore automatico dello smartphone: "hoping for help". Come se volessero dire tanto e manca l'energia. Devo lasciarle, la mamma lancia un bacio con la mano.
"Ci auguriamo la fine di tutte le guerre"
Sono persone che si augurano "la fine di tutte le guerre, come quella scatenata dalla Russia": così Mohamad Anosh e la moglie Reha, entrambi profughi afgani scappati in Italia lo scorso agosto a seguito del ritiro della coalizione internazionale. Anche loro tra i 49 rifugiati che hanno preso parte all'incontro privato di stamattina. Forte è il ricordo delle notti in aeroporto nella speranza di fuggire. In Afghanistan Reha era un’attivista per i diritti umani e ha collaborato a diversi progetti realizzati nel Paese dal Cospe. Il marito è un medico, sono stati costretti ad abbandonare lo Stato con lei già incinta di due mesi. A marzo nascerà il loro bambino e sperano in un mondo migliore.
L'impegno umanitario per chi è fuggito da Paesi in guerra
Marzio Mori, operatore della Caritas, responsabile dell'area che si occupa dei migranti, spiega la scelta del gruppo di famiglie che erano pronte oggi per incontrare il Papa. Circa 12-13 le nazionalità di provenienza, una componente importante dall'Afghanistan.
"Pensavamo di doverci fermare al dramma afgano, invece siamo molto preoccupati per cosa sta capitando agli ucraini", ci dice Mori. Pakistan, Africa, soprattutto persone che hanno vissuto sulla propria pelle la condizione dei lager in Libia. Sono le regioni da cui giungono queste famiglie, ora all'interno di percorsi abbastanza strutturati attraverso i quali qui si prova a far recuperare i titoli di studio, a far imparare l'italiano, "senza fretta con il rispetto dei tempi di ciascuno. Erano tutti eccitati e stavano preparando delle lettere per il Papa, insieme c'erano anche i ragazzi dei 'corridoi universitari' che li aiutano", spiega Marzio che coglie l'occasione anche per ricordare l'emozione di quell'incontro, a cui partecipò nel 2015, quando Francesco venne a visitare la mensa della Caritas "avvicinando a tutti al di là del protocollo. Mi aveva lasciato il segno".
Prepararsi all'arrivo dei profughi ucraini
All’incontro di Firenze ha preso parte anche il cardinale Louis Raphaël Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, che ha vissuto anni di conflitto in Iraq. Alla luce della sua esperienza esorta, anche guardando all’Ucraina, a perseguire la via del dialogo. Sostiene che l’iniziativa dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo sia stata importante per costruire “uno spirito di squadra” e raggiungere come obiettivo la pace, la fratellanza, l’uguaglianza: tutti temi cari a Francesco e ribaditi nel suo viaggio apostolico in Iraq. “Dobbiamo essere – conclude Sako - tutti portatori di pace”.
Il Convegno sul Mediterraneo ha coinciso con l'invasione russa in territorio ucraino, la goccia che ha innescato gli esodi della popolazione verso i Paesi limitrofi. Mentre l'Italia si prepara ad accogliere i profughi dall'Ucraina, organizzandosi per aumentare ulteriormente i servizi umanitari, il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton, si sofferma sulle conseguenze che vivono le popolazioni in guerra. Proprio con lo sguardo all’Ucraina, il francescano non dimentica le immagini dei bombardamenti in Siria e in particolare nella città di Aleppo. “In tutti gli atti di guerra e di violenza di questi ultimi anni – afferma - la maggiore sofferenza è sempre della popolazione civile soprattutto di quella che vive in città”.
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