Il nunzio in Ucraina: invocare Maria non è un atto magico, è conversione dei cuori
Antonella Palermo e Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
Dalla capitale ucraina Kiev, il Nunzio apostolico monsignor Visvaldas Kulbokas, tra ultimi diplomatici rimasti nel Paese, spiega il valore dell’Atto di consacrazione alla Vergine Maria per invocare la pace.
In questa circostanza così dolorosa, cosa suscitano in lei le parole della preghiera dell’Atto di Consacrazione che oggi in Vaticano è presieduto dal Papa?
È una occasione bellissima. Papa Francesco ha menzionato il popolo ucraino, che certamente sta soffrendo molto, ma ha menzionato anche i soldati russi perché nel dolore siamo tutti uniti, è tutta l’umanità che patisce. Quando ci rivolgiamo al Cuore immacolato di Maria, consacriamo prima di tutto noi stessi, in seconda battuta il mondo intero, e in particolare Russia e Ucraina: quando facciamo questo uniamo il nostro dolore al dolore della nostra Madre divina. E questo non è soltanto una consolazione, è molto molto di più. È un'unione intima con la Madre celeste che significa già di per sé la vittoria sul male, non solo sul male della guerra, un male inconcepibile, ma sul male che è nel cuore di tutti noi.
A mio modo di vedere, questo atto sarebbe ancora più perfetto se fossimo tutti uniti, non solo cristiani, ma per lo meno i cattolici e gli ortodossi, non necessariamente con questo atto specifico, perché è piuttosto una tradizione occidentale. Sono convinto che arriverà il tempo, spero presto. Un aspetto molto significativo riguarda la conversione - così come se ne parla anche nei misteri di Fatima - non intendendola riduttivamente come conversione all’una o all’altra Chiesa: qui la conversione di cui parla Gesù è una conversione al Vangelo, alla luce, alla verità. Questa conversione supera i confini delle Chiese, delle appartenenze. È conversione a Dio, alla nostra umanità: “Convertitevi, e siate veramente quelli che Dio ha creato, cioè fratelli”.
Perché il Vangelo è piena restituzione di dignità all’uomo…
Sì, e questo messaggio è comune non solo ai cristiani, musulmani, ebrei, buddisti, induisti, non solo ai credenti ma a tutti, anche ai non credenti. Non è un atto magico quello che celebriamo. Ci vuole la nostra partecipazione, non si può chiedere la pace se i nostri cuori rimangono duri. È significativo che il Papa fa precedere l’Atto di Consacrazione con un atto penitenziale. C’è infatti la parte divina e la parte umana, quella della nostra volontà, della nostra libertà.
Insomma, chiedere la pace per i popoli presuppone una riconciliazione dei cuori a livello personale…
Sì, ed è molto significativo ciò che hanno sottolineato anche nel Consiglio delle Chiese e delle organizzazioni religiose in Ucraina invitando tutti, proprio tutti, a non subire la guerra. Sì, la guerra è atroce, drammatica, tragica, ripugnante, corrisponde alla logica diabolica – e questo è stato detto da entrambe le parti - ma dobbiamo pensare anche a costruire una cultura della riconciliazione. Non dobbiamo mai fomentare né l’odio, né la denigrazione dell’altro, nonostante la guerra. Anzi, proprio la guerra dovrebbe provocare una cultura di pace. Questa è la nostra risposta.
Stanno facendo il giro del mondo le immagini di madri, anche giovanissime, con il braccio i propri figli, spesso neonati, in atto di protezione in mezzo alle bombe. Sono vere e proprie icone mariane della contemporaneità…
Le immagini di madri che allattano i figli nelle stazioni della metropolitana mi fa letteralmente piangere. Grazie a Dio, qui a Kiev arrivano gli aiuti umanitari, ci sono diocesi, città intere, come Mariupol, dove neanche arrivano. Quando ci penso mi viene ancora di più da piangere. Quando non vediamo il volto in fotografia dei bambini che soffrono possiamo essere portati a pensare che allora il dolore è sopportabile. Quando vediamo invece di persona questi volti, è una cosa allucinante che ci deve spingere tutti a superare tutti i tipi di barriere: religiose, confessionali, politiche, diplomatiche. Dobbiamo essere tutti uniti nel trovare il modo di ricostruire subito la pace.
A Kiev quale è oggi la situazione?
In questi giorni stiamo vivendo un relativo confort rispetto ad altre regioni perché, è vero che i missili arrivano ogni giorno, ma non nella quantità con cui arrivano altrove. Io vedo che i servizi ecologici sono al lavoro, anche se non tutti i giorni per via del coprifuoco. C’è qualche barbiere che ha riaperto il negozio. Un giovane, per esempio, ha riaperto mettendo subito su un gruppo di volontari per assistere gli altri. Un collaboratore della nunziatura, un sacerdote, mi ha detto che ieri ha visto una signora anziana uscire dalla propria casa e cercare del cibo, dei pezzettini di pane per gli uccelli. E allora il prete le ha indicato un centro di volontari dove distribuiscono un po’ di minestra calda. Ecco, la guerra crea anche queste condizioni molto difficili dove, tuttavia, si trovano delle soluzioni con varie parrocchie cattoliche, ortodosse, vari centri musulmani, ebraici, o organizzati dal municipio che distribuiscono gli aiuti. Quindi, è vivibile la situazione, però tante infrastrutture sono state danneggiate. Mi fa piangere pensare che anche noi, come nunziatura, siamo costretti a ricevere aiuti umanitari, è un pensiero allucinante. A Kiev, in una capitale europea, nel XI secolo, dobbiamo vivere degli aiuti raccolti in Spagna, Italia, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania, Germania e in tanti altri Paesi.
Che effetto le fa sentire che, non solo da parte del presidente ucraino Zelenski, c’è il desiderio di una visita del Papa a Kiev?
Sarebbe certamente un sogno, tuttavia in mezzo a una guerra una visita del Papa non sarebbe analoga a quella di personalità politiche. Anche una presenza del Papa, da solo, sarebbe una bella immagine, ma non è di facile realizzazione.
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