Petrocchi: L’Aquila è città-sorella di Kiev, sa che vuol dire perdere tutto
Vatican News
Una Messa notturna nella chiesa di Santa Maria del Suffragio e poi una fiaccolata e una lunga teoria di rintocchi di campana, 309, tanti quante le persone che trovarono la morte in quel 6 aprile 2009. È quanto accaduto a L’Aquila la notte scorsa durante la celebrazione presieduta dal cardinale arcivescovo della città, Giuseppe Petrocchi. Ecco alcuni stralci della sua omelia:
Stiamo celebrando questa solenne liturgia nella ricorrenza del 13.mo anniversario del terremoto, che devastò L’Aquila e il suo territorio. Sappiamo che in ogni celebrazione eucaristica si rende presente la Pasqua di Gesù, cioè, la Sua morte e risurrezione (…) Non si tratta di una manifestazione solo evocativa e simbolica, ma di una testimonianza di fede, di amore e di speranza. Non si commemorano soltanto una tragedia sismica e le vittime che ha provocato, ma si testimonia la Vita che non soccombe e si erge indomita: sfida la morte e nel duello esce vittoriosa (…) La logica della Pasqua, modifica la grammatica con cui è pensato l’evento della morte: quando si parla di una persona che è passata dal tempo all’eternità, non è giusto dire che “è scomparso”, ma doveroso affermare: “continua ad essere presente”; e l’espressione stridente: “estinto” o “non c’è più”, va sostituita con l’altra: “rimane ancora, anche se in modo diverso” (…)
La certezza della Pasqua non toglie il dolore su cui è impresso il sigillo del vincolo famigliare: ed è bene che sia così. Perché quel dolore è sacro. Testimonia un amore che sbaraglia morte, perché non si arrende e si spinge in avanti, nell’attesa del ricongiungimento. La separazione, infatti, è solo temporanea: costituisce una “pausa” che prepara l’abbraccio definitivo (...) La consolazione, che viene dallo Spirito, diventa “con-piangere”, ma anche “con-credere”: conduce a “collegarsi”, per grazia, con il Cielo, pur avanzando nel pellegrinaggio sulla terra (…)
Le donne e gli uomini, i giovani e bambini della nostra gente, che hanno visto morire i loro cari, e hanno dovuto lasciare angosciati le loro case distrutte dal terremoto, ben capiscono il dramma dei profughi ucraini costretti dalla furia insensata e omicida della guerra ad abbandonare le loro abitazioni e a cercare rifugio in altre nazioni. In questo dolore lacerante l’Aquila, Città-Martire, si sente Città-Sorella con Kiev, Mariupol, Kharkiv, Bucha, Irpin, Odessa, e con tutti i centri urbani o i villaggi colpiti dalla violenza sacrilega e devastante delle bombe.
Per questo il Popolo aquilano - che ben conosce il patire, ma testimonia anche una tenace volontà di ricostruzione - prega per la pace, unito a Papa Francesco, ai credenti di tutte le confessioni e fedi religiose e agli uomini di buona volontà. In questi giorni sentiamo parlare, con accenti concitati, di allerta e di mobilitazione bellica: vogliamo rispondere alla brutalità barbara e feroce della guerra con l’“allerta” e la “mobilitazione” della solidarietà e della “com-passione”, creando una stretta catena di accoglienza, di amicizia e di condivisione. Siamo fiduciosi che dopo la bufera, tornerà a splendere il sole della riconciliazione e della fraternità: più luminoso e caldo di prima. Infatti, scrive Papa Francesco: «è il Risorto che ci dice, con una potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima speranza: “Io faccio nuove tutte le cose”.
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