Ucraina. Storia d’amore, di guerra e di fede
Svitlana Dukhovych - Città del Vaticano
La cittadina Slavutych, che si trova al nord dell’Ucraina, a meno di 20 km dal confine con la Belarus, è stata occupata dall’esercito russo fin dal primo giorno di guerra, il 24 febbraio. Il giorno seguente è stata presa anche la centrale nucleare di Chernobyl, epicentro della tragedia che 35 anni prima diede l’inizio alla storia di Slavutych: la cittadina fu fondata nel 1986 pochi mesi dopo il disastro, per ospitare gli addetti alla centrale nucleare e le loro famiglie, provenienti in massima parte da Prypjat, posta a 2 km dalla centrale.
Il 31 marzo l’esercito russo ha lasciato la centrale nucleare di Chernobyl e si è ritirato dal nord del Paese e anche da Slavutych. Qui, durante tutto il periodo dell’occupazione, il giovane sacerdote greco-cattolico Yuriy Lohasa ha continuato a offrire alla sua comunità il sostegno spirituale, a consolare, dare coraggio e aiutare i cittadini a trovare e distribuire il cibo e le cose di prima necessità.
Nato a lume di candela
“A Slavutych c’è un nostro sacerdote giovane con la moglie che una settimana fa ha partorito in un ospedale dove non c’era né luce, né riscaldamento e siccome era notte, c’era solo la luce delle candele”, aveva raccontato il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, durante la videoconferenza intitolata “Il ruolo della Chiesa greco-cattolica ucraina nel contesto della guerra”, organizzata dal Pontificio Istituto Orientale il 29 marzo scorso. Sua Beatitudine si riferiva a padre Yuriy Lohasa e a sua moglie Iryna. “Sono veramente addolorato - aveva proseguito l’arcivescovo maggiore con le lacrime negli occhi - e sono preoccupato per la sopravvivenza di questo bimbo”. Bambino che è nato il 15 marzo, porta il nome del suo papà Yuriy sta bene. Appena è stato possibile, la mamma ha portato lui assieme alle due figlie più grandi nel paesino all’ovest dell’Ucraina, dove è nata, mentre padre Yuriy e rimasto a Slavutych per continuare a servire la sua comunità.
“Il momento più difficile - ricorda lei raccontando la sua storia - è stato quando un giorno, dopo circa una settimana dalla nascita di mio figlio, i militari russi hanno iniziato a colpire Slavutych con l’artiglieria. Ero a casa da sola con i bambini perché mio marito, che è anche il cappellano militare, era andato a visitare i soldati ucraini. Anche se i combattimenti si svolgevano in periferia, il rumore delle esplosioni era molto forte perché la cittadina è piccola. Mia figlia più grande si è avvicinata a me e mi ha detto: «Mamma, non voglio morire» e io non sapevo cosa risponderle perché non sapevo cosa sarebbe accaduto”. In quei momenti più bui Iryna traeva la forza dalla fede che le era stata trasmessa già dall’infanzia. “Certamente - confessa lei - in una situazione così difficile non riesci a pregare come al solito. La preghiera diventa più personale, ininterrotta… Pregavo giorno e notte e affidavo quella situazione nelle mani di Dio”.
La preghiera, il pilastro per non crollare
Il supporto grande arrivava anche dalle preghiere degli altri. Durante tutto il periodo dell’occupazione tanta gente li ha contattati per proporgli l’aiuto. “Io chiedevo solo di pregare - dice Iryna - e credo che questo supporto spirituale ci abbia sostenuti molto, soprattutto nei momenti in cui ci cadevano le braccia e non sapevamo che fare, dove andare... Però percepivo che Dio vegliava su di noi continuamente. Adesso, a distanza di tempo, capisco che le forze umane sarebbero insufficienti per sopportare tutto questo e quindi per me la fede, la preghiera e la fiducia in Dio sono fondamentali”.
Iryna e Yuriy si sono sposati nel 2012. Ancora prima del matrimonio entrambi avevano chiara l’idea che dopo l’ordinazione di Yuriy sarebbero andati in una delle zone dove non c’era ancora una comunità greco-cattolica. Così 10 anni fa sono giunti a Slavutych. “Sin dall’inizio non è stato facile - ammette la giovane donna - perché qui la mentalità è diversa rispetto all’ovest dove sono cresciuta. Però cercavo sempre di essere il supporto per il mio marito, essergli accanto sia nella gioia che nei momenti difficili”. Qui sono nati due dei tre figli della giovane coppia ed è nata la loro comunità, la prima comunità greco-cattolica.
La fede che nasce dal coraggio
Quando l’esercito russo ha circondato Slavutych, i cittadini sono rimasti tagliati da tutti i rifornimenti: nei negozi non c’era il cibo, le farmacie erano vuote. Gli aiuti umanitari non arrivavano e non è stato possibile evacuare la gente. Per una settimana la cittadina è rimasta senza l’elettricità e la gente riscaldava l’acqua sul fuoco che accendeva nei cortili. Dai villaggi vicini portavano il latte e padre Yuriy aiutava a distribuirlo vicino alla parrocchia, nonostante il continuo pericolo dei bombardamenti. La gente ha apprezzato molto il fatto che il giovane sacerdote sia rimasto con loro, spesso incontrandolo lo abbracciavano. Tante persone, per la prima volta nella vita, hanno voluto confessarsi, tanti hanno iniziato a frequentare la liturgia e a pregare.
Durante la guerra tanti devono prendere decisioni molto importanti e dolorose. “Mio marito non deve scegliere tra la parrocchia e la famiglia - dice Iryna, - perché lui, in primo luogo, è un sacerdote, una persona chiamata da Dio e su questo non c’è nessun dubbio. Invece io come mamma dovevo portare i figli in un luogo sicuro, partire per l’ovest dell’Ucraina, lasciando il marito. Questa per me è stata una sfida. Qui sono al sicuro però il mio cuore è insieme con lui”. L’ultimo mese è stato molto duro per la giovane coppia: “Già un paio di volte ci siamo detti addio ed è stato molto doloroso”, confida Iryna e aggiunge che la guerra e le difficolta hanno reso ancora più forte il rapporto con suo marito: “Questo mi ha fatto capire che riusciamo a essere insieme anche a distanza, a continuare a lottare e a essere di sostegno l’uno per l’altra”.
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