La resurrezione degli oppressi: alla Via Crucis la speranza di una coppia di migranti
Jean Charles Putzolu - Città del Vaticano
Quattordicesima Stazione: il corpo di Gesù è deposto nel sepolcro. "Siamo qui. Siamo morti al nostro passato. Avremmo voluto vivere nella nostra terra, ma la guerra ce lo ha impedito.... Se non ci rassegniamo è perché sappiamo che la grande pietra sulla porta del sepolcro un giorno verrà rotolata via".
In sintesi è questa la storia di due vite e la narrazione che accompagnerà la Via Crucis, all'ultima sua Stazione, nella notte del Venerdì Santo al Colosseo alla presenza del Papa. I protagonisti sono Irene e Raoul Bwalwele autori della meditazione. Sono due coniugi congolesi, genitori di Federico, 4 anni, e Riccardo 11 mesi. Arrivati in Italia dal Congo come rifugiati, sono stati accolti dal Centro Astalli e ora sono indipendenti. Oggi è Raoul a raccontarsi nelle speranze e nei desideri più profondi in cui si ritrovano quelli di migliaia di persone che partono dalle coste africane per cercare di arrivare in Italia attraversando il mare. In tanti non ce la fanno:
Raoul, lei e sua moglie Irene porterete la croce al Colosseo alla 14.ma stazione alla presenza del Papa. Siete entrambi migranti dalla Repubblica Democratica del Congo, giunti in Italia con un percorso diverso. Ci può dire come e perchè è arrivato qui?
Sono venuto per studiare alla Pontificia Università Santa Croce, sono ormai venti anni, e qui ho conseguito la Laurea in Comunicazione sociale e poi ho lavorato a lungo con i disabili. Nel 2012 ho conosciuto mia moglie Irene, arrivata in Italia come rifugiata politica.
Irene ha fatto dunque un percorso molto diverso dal suo?
Sì, lei è scappata dal nostro Paese e si è ritrovata nei campi profughi della Libia. Ha attraversato il Mediterraneo in barca e per fortuna la sua barca è riuscita ad arrivare in Italia e lei è sopravvissuta.
E' stata fortunata, perchè, come dice il Papa spesso, il Mediterraneo è ormai un "cimitero"?
Sì, è stata molto fortunata: nel 2012 è arrivata, io l'ho incontrata e dopo quattro anni ci siamo sposati e abbiamo avuto i nostri splendidi figli. E ci siamo raccontati le nostre storie.
E quale è stata la sua reazione di fronte al percorso di sua moglie che ha rischiato la vita oltre ad affrontare lo sradicamento dalla vostra terra ?
All'inizio, quando lei mi ha raccontato tutta la sua storia, mi sono spaventato. In realtà quando vedo le immagini dei tanti nostri fratelli che arrivano in Italia attraversando il mare, la mia prima reazione è una grandissima paura. Lei mi ha raccontato quanto ha passato e io ho ringraziato Dio per la sua sorte, perchè poteva non arrivare. Una volta insieme qui, l'ho incoraggiata e le ho insegnato tutto della vita in Italia. Lei ormai si è inserita, sta bene, oggi lavora ed è mamma dei nostri bellissimi figli e andiamo avanti.
Il vostro percorso insieme vi ha portato fino alla 14.ma stazione. Ma è stato esso stesso una "Via Crucis"?
Sì, penso di sì. Noi, il nostro Paese: lì c'è tutto, è un Paese molto ricco. Potevamo essere tra i più ricchi del mondo e invece purtroppo siamo tra gli ultimi, siamo tra i più poveri e questo non è giusto. Quanto viviamo nella Repubblica Democratica del Congo assomiglia molto alla croce pesante che Gesù solleva, la stessa che porta sulle spalle il mio popolo. Sogno che un giorno senza la Croce, saremo felici.
A cosa penserà nel tragitto della Via Crucis al Colosseo, come avete accolto la possibilità di fare questa esperienza?
Io mi sono emozionato, ho pianto. Ho visto subito in questo la sofferenza di Gesù in croce e il mio pensiero è andato subito al nostro popolo e al nostro Paese che solleva una croce pesante ma carica di speranza. Non perdiamo la speranza che questa nostra croce ci porterà all'obiettivo di una vita felice. Come Gesù arriva alla Pasqua anche il Congo arriverà alla Pasqua. E questo mi rende sereno.
Dal suo arrivo in Italia, ha sofferto per la diffidenza, gli sguardi, il giudizio o le parole magari non belle degli altri?
Nella mente di tanti non c'è la consapevolezza di cosa significa vivere insieme in una comunità di persone differenti. All'inizio non è stato facile, le parole cattive che ho sentito e che ho perdonato, perchè occorre sempre perdonare, mi hanno fatto male. Poi mi sono abiuato. Sono una minoranza le persone che non capiscono che vivere insieme è più bello, che il mondo è una famiglia, che bianchi, neri, gialli siamo tutti sulla stessa barca, siamo tutti una stessa famiglia. E' il messaggio che il Papa ci dona ogni giorno. Preghiamo allora per quanti vivono nell'ignoranza e non sanno che se anche ho la pelle diversa tu sei mio fratello. Preghiamo che un giorno capiscano che siamo una stessa famiglia.
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