Lavoro da remoto
Luca Pesenti* e Giovanni Scansani**
Con la pandemia si è remotizzato tutto il lavoro possibile. Ma siamo di fronte davvero alla rivoluzione del “lavoro agile” di cui molti parlano? Questa modalità richiede una trasformazione culturale radicale, ancora assente nella grande maggioranza delle aziende. Per non inaridire il sistema economico, il “lavoro agile” richiede un modello economico (e del lavoro) che riproduca società, relazioni, dignità sociale e umana, e in cui il lavoro umano non rappresenta una semplice relazione economica “prestazionale”, bensì è “esso stesso relazione sociale” (Pier Paolo Donati).
Come segnala Papa Francesco: «Qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé» (Laudato si’, 125). Il lavoro umano appare dunque pienamente umanizzato perché dotato di senso, orientato all’apertura verso il mondo e creatore di reti relazionali: «Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno» (Centesimus annus, 31). Una riflessione che sempre sotto il Pontificato di San Giovanni Paolo II trova il suo punto antropologicamente più acuto in vari passi della “Laborem Exercens”e che sbocca nella concezione di “lavoro decente” presentata da Benedetto XVI nella Caritas in veritate, (63).
Dietro talune impostazioni utopistiche circolanti sembra invece celarsi l’equivoco della liberazione “dal” lavoro e non già l’obiettivo della liberazione del soggetto “nel” lavoro. Vi è un’indubbia “seduzione” inscritta nella promessa di un lavoro che ci liberi, almeno parzialmente, da una parte della sua tradizionale fatica, specie in tempi in cui ci troviamo immersi in una «intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro, in quella che in spagnolo alcuni chiamano “rapidación” (rapidizzazione)» (Papa Francesco, Laudato si’, 18). Lavorare da remoto può certamente permettere di ridurre una parte di questa frenesia e per questo molti lavoratori e lavoratrici sembrano richiederlo.
Ma occorre chiarirne anche i limiti: molte ricerche segnalano l’aumento di stress, la rottura degli argini di divisione tra vita e lavoro, il rischio di isolamento, la perdita del senso di appartenenza a una comunità. Il lavoro da remoto chiama in causa da questo punto di vista anche il rinnovamento del sindacato, in una nuova tappa di quel continuo interrogarsi sulle condizioni di vita dei lavoratori che ha permesso storicamente l’emersione di «sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro» (Laborem exercens, 8).
*Docente di Sociologia generale
**Docente che coordina il Laboratorio “Progettazione dei Piani di Welfare Aziendale”
Potete ascoltare qui la serie di podcast sulla Dottrina sociale della Chiesa. La puntata è di Luca Pesenti e Giovanni Scansani, curatori della voce “Il lavoro da remoto” del Dizionario di Dottrina sociale.
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