Natale ad Haiti, un Paese al collasso dove la gente non perde la speranza
Michele Raviart – Città del Vaticano
“Chiediamo ai gruppi armati illegalmente e a quelli che li finanziano di fermare la follia mortale dell’odio e del disprezzo della vita. Fate tacere le armi! Al posto della guerra fratricida dobbiamo investire nella pace e nell’amore, nella riorganizzazione delle nostre infrastrutture, della sanità e dell’educazione così come in un cambio della nostra mentalità”. Così i vescovi di Haiti si sono pronunciati nel messaggio per il Natale che, già nel titolo “Il grido della Chiesa cattolica sulla condizione attuale di Haiti”, pone l’accento su quanto sia diventata insostenibile la vita nel Paese caraibico, travolto da una crisi politica, economica e sociale che dura da decenni, aggravato dalle conseguenze di disastri naturali, come il terremoto del 2010 e, da ultimo, da un'epidemia di colera.
Garantire un futuro migliore
La situazione nella capitale Port-au-Prince è da tempo ingestibile, con gruppi criminali che di fatto controllano il territorio esautorando il ruolo dello Stato, ancora più debole dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moise, nel luglio del 2021. È il momento di riformare le istituzioni, è la richiesta dei vescovi, perché occorre “frenare la cultura dell’impunità che è la causa logica della perpetuazione della corruzione e della violenza nel Pease”, e questo per garantire, aggiungono, "uno spirito di appartenenza a questa terra di Haiti, un avvenire migliore alle generazioni future”.
Un Paese in cui tutto è pericoloso
“Questo messaggio è stato marcato da parole molto chiare, molto forti”, spiega Maddalena Boschetti, missionaria laica fidei donum, da vent’anni del Paese, a Mare-Rouge, una struttura nella quale si curano i bambini disabili. “Non è facile sentire dichiarazioni di questo tipo in situazioni come la nostra, in cui tutto è pericoloso. I vescovi hanno dimostrato una chiarezza e una forza per denunciare la situazione di insicurezza terribile che continua, con questa spartizione dei territori della capitale, ma ormai anche del resto del Paese, che sono nelle mani delle gang che hanno poteri enormi perchè sovvenzionate e pagate da elite locali e internazionali che hanno tutto l'interesse nel continuare ad approfittare di una situazione che permette traffici e business non legali”.
Una speranza che non svanisce
“Da anni - prosegue la missionaria - prima di spostarci da dove siamo, guardiamo la mappatura delle zone pericolose, guardiamo dove è possibile transitare, guardiamo dove sono avvenuti gli ultimi rapimenti per cercare di orientarci e per capire che strada fare per arrivare dove dobbiamo”. “Ogni giorno - è il drammatico racconto di Boschetti - ci sono rapimenti, sparatorie, rapine violente, violenze enormi contro le donne contro i bambini, contro i più fragili. Tutte situazioni che la gente è ormai abituata a considerare come la propria normalità, e questo è veramente il degrado più terribile, ma che non impediscono alla gente di sperare, ad esempio, che le scuole possano riprendere e che i ragazzi possano ritornare a studiare. La speranza nella gente c'è sempre”.
La difficile vita a Port-au-Prince
La capitale è blindata. “Tutte le vie d’accesso sono sotto il controllo delle gang che fanno passare o meno merci, soprattutto, e persone sulla base delle loro convenienze e dei pizzi che sono chiesti”, prosegue Maddalena Boschetti. “Tutta la provincia vive dalle merci che arrivano dalla capitale, perché in provincia c'è un’agricoltura minima di sussistenza per cui tutto ciò che non viene prodotto dai campi deve arrivare dalla capitale. In questo momento, ad esempio, dove vivo io nel nord-ovest è difficile anche solo l’approvvigionamento di generi alimentari, di farmaci, di carburante”, spiega,”tutto in qualche modo arriva in proporzione minore grazie a mercanti locali che comunque approfittano di questa situazione per aumentare in modo ancora più marcato i prezzi”. Anche il sistema bancario è al collasso, con file davanti agli sportelli che erogano solo piccole quantità di denaro, a malapena sufficienti per la spesa quotidiana al mercato.
Calpestati i diritti dei migranti
Dopo aver condannato la corruzione dilagante nel Paese, la Conferenza episcopale haitiana rivolge la sua attenzione alla condizione delle persone che in massa fuggono per cercare una vita migliore altrove, spesso nella vicina Repubblica Domenicana, ad est dell’isola di Hispaniola.“Le condizioni invivibili del Paese spingono un grande numero di compatrioti a rifugiarsi, senza preavviso e con ogni mezzo, in territori dove non sono sempre i benvenuti”, scrivono. “Nella vicina Repubblica Domenicana sono l’oggetto di trattamenti inqualificabili, che calpestano i principi e gli imperativi dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario, del diritto dei rifugiati e, specialmente, del protocollo d’accordo del 1999 relativo alle condizioni di trattamento del ritorno dei migranti illegali haitiani. Questo impatta sui rapporti di amicizia e cordialità tra le due repubbliche e crea frizioni intergenerazionali”. “Il problema enorme”, prosegue Boschetti, “è che non viene lasciata alla gente la possibilità di emigrare legalmente e la gente qua muore. Se il percorso fosse diverso, si riuscirebbe anche a cogliere il motivo per cui bisogna cercare di aprire le braccia e accogliere i migranti che fuggono alla morte in questi Paesi”
La gioia di servire il Signore in questa gente
In questo contesto il ruolo della Chiesa è decisivo per il conforto spirituale e materiale degli haitiani. ”Credo che non ci sia dubbio sul fatto che questo sia un Paese difficile e pericoloso ma, proprio per questo, abbiamo la gioia di servire il Signore in questa gente, in questa situazione”, sottolinea la missionaria. “Noi dobbiamo essere coscienti del valore della presenza dei missionari e della presenza della Chiesa in questa società così complessa. Sono presenti silenziosamente, magari, ma sempre a fianco di chi è più fragile. È lì che il Signore nasce, rinasce e sceglie di essere presente in modo speciale.
Il primo Natale senza suor Luisa dall'Orto
Questo sarà poi il primo Natala senza suor Luisa Dall’Orto, uccisa a 65 anni lo scorso giugno a Port-Au-Prince, probabilmente durante una rapina i cui contorni non sono mai stati chiariti del tutto. “Niente si è mosso qua per cercare di chiarire e non si sa se qualcosa potrà mai essere scoperto o comunque svelato nei prossimi tempi, ma Luisa è fra noi e continua a fare la sua parte animando e dando forza”, conclude Boschetti, che di suor Luisa era amica. “La testimonianza della sua morte, la sua esecuzione è qualcosa che non toglie, ma dà piuttosto forza a chi decide di rimanere. Ecco io personalmente la sento vicina nella sua grande stabilità, nella sua grande umiltà, nel silenzio con cui avrebbe scandito anche queste giornate di celebrazioni nella cappellina che amava e che decorava a seconda della dell'avvenimento liturgico. Questa cappella in cui avrebbe messo Gesù Bambino sull'altare, come lo metteva ogni volta che celebravamo insieme”.
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