“Il partigiano di Dio”, un libro per raccontare lo Schindler di Clivio
Debora Donnini – Città del Vaticano
Ci sono storie di vita che squarciano le tenebre dell’egoismo e del vivere ripiegati su sé stessi. La storia di don Gilberto Pozzi, narrata nel libro “Il Partigiano di Dio”, è senz’altro una di queste. Assieme ad una rete di persone, specie con l’aiuto del maresciallo Luigi Cortile e di Nella Molinari, aiutò a espatriare in Svizzera ebrei, perseguitati politici e renitenti alla leva. Salvò così loro la vita. Lo raccontano nel libro, edito da San Paolo, Gerardo Severino e Vincenzo Grienti. La vicenda di don Gilberto Pozzi, prete in Clivio, nel varesotto, “dimostra quanto può essere incisiva in una comunità̀ la presenza di un prete che ha saputo essere partigiano senza essere ‘di parte’, che è stato protagonista della storia di Clivio senza essere esibizionista, che ha attraversato tribolazioni e contrasti senza conservare risentimenti, che ha affrontato pericoli e minacce senza perdere la fiducia e l’impegno, che ha inteso il suo ruolo come un servizio, senza farsi servire”, scrive nella prefazione monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano.
A ricordare la figura di questo sacerdote è, nella presentazione, anche Giorgio Sacerdoti, presidente della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, che, a soli pochi mesi, espatriò in Svizzera con i genitori, nel novembre 1943, proprio grazie al sostegno dei finanzieri del maresciallo Cortile e degli abitanti che aiutavano chi fuggiva per sottrarsi alla persecuzione e alla morte. Don Gilberto Pozzi con la sua opera, sottolinea Sacerdoti, "ben rappresenta l’impegno di tanti ecclesiastici a favore degli oppressi in quei tempi bui”. E' Vincenzo Grienti a spiegare a Radio Vaticana - Vatican News come si dipanò questa storia:
Dal 1943 al 1945, a Clivio, don Gilberti Pozzi, un maresciallo della Guardia di Finanza, Luigi Cortile, e Nella Molinari misero su un'operazione clandestina con la quale riuscirono a salvare molti ebrei e perseguitati politici. Come era organizzata questa rete e in quale modo fu guidata da don Pozzi?
L'idea di dare vita a una cellula clandestina dedita all'aiuto degli ebrei, dei profughi, dei perseguitati politici maturò nei giorni seguenti l'8 settembre 1943. Don Gilberto era preoccupato per la sua comunità, soprattutto a seguito dell'occupazione nazista. L'inasprimento dei rapporti tra la comunità cliviese e i soldati tedeschi, alleati della Repubblica sociale italiana, condusse il sacerdote originario di Busto Arsizio a fare una scelta di campo coraggiosa. Dalla vicina Milano le notizie che arrivavano non erano buone. Si parlava di incarcerazioni e deportazioni. Perciò don Gilberto decise di fondare a Clivio una cellula legata alla OSCAR, l'organizzazione impegnata ad agevolare la fuga in Svizzera di soldati renitenti alla leva repubblichina, di oppositori politici, ma soprattutto di ebrei. Il nome della cellula OSCAR era legato alle Aquile Randagie, il movimento scout clandestino nato e vissuto durante il periodo del ventennio fascista. Don Gilberto, così come altri sacerdoti e fedeli laici lombardi, fece della contemplazione e dell'azione l'arma di una missione rischiosa. Il gruppo di Clivio era dedito alla falsificazione dei documenti personali e doganali, magari per quei casi ove era più facile sostituire foto e persone; all’accompagnamento presso la rete metallica al confine con il territorio elvetico. Non trascurabile era poi il servizio di “staffetta” che consisteva nel far transitare dalla frontiera la corrispondenza e i valori, soprattutto fondi raccolti in Italia e diretti ai rifugiati in Svizzera, così come le lettere che gli espatriati inviavano ai propri parenti rimasti in Italia. Infine, il passaggio di informazioni per aiutare, laddove possibile, la Resistenza. In tutto ciò coinvolse Luigi Cortile, il sottufficiale delle fiamme gialle che, dal 1935, dirigeva la Regia Dogana di Clivio. Era un cattolico praticante che comprese subito l’esigenza e la drammaticità del momento. Don Gilberto espose al maresciallo Cortile la questione con il cuore e il Vangelo in mano. Si trattava di far “passare” la povera gente al di là della rete metallica e dare loro una nuova speranza di vita. Cortile non si tirò indietro e aiutò tutti senza distinzione. In questo trovarono un valido aiuto nella signora Nella Molinari.
La fuga dei perseguitati era verso la Svizzera. Quali rischi correvano don Pozzi e la sua rete? Come avvenivano queste fughe?
L'espatrio veniva organizzato con discrezione e senza fretta. In questo l'apporto dei finanzieri del maresciallo Cortile si rivelò determinante. Fino al giorno, o meglio alla notte, in cui i fuggiaschi oltrepassavano la rete metallica che separava l'Italia dalla Svizzera, ebrei e profughi venivano nascosti. Occorreva aspettare il momento giusto ed evitare di farsi sorprendere. Si comprende bene come i rischi fossero tantissimi, la rete di "angeli del bene" di don Gilberto Pozzi doveva fare i conti con tanti ostacoli: il coprifuoco, il volantinaggio di regime che generava dubbi, perplessità e sospetti anche su amici e parenti. Non mancavano poi le attività di schedatura da parte della polizia politica che reperiva informazioni attraverso le soffiate dei vicini di casa, attraverso le notizie fornite dalle spie della Repubblica sociale italiana, ma anche, purtroppo, da traffichini senza scrupoli che pur di ricavare qualche gruzzoletto sostenevano ipotesi denigratorie. C'era poi il rischio concreto, come peraltro avvenne, di essere scoperti e catturati, imprigionati e deportati come nel caso del maresciallo Cortile. L'opera umanitaria di don Gilberto, della signora Nella e di altre persone perbene, venne ostacolata dai fascisti tanto che lo stesso sacerdote venne catturato e imprigionato nel carcere di San Vittore a Milano. Uscì grazie all'intervento del cardinale Schuster. La stessa cosa non avvenne per il maresciallo Cortile, che morì nel campo di concentramento di Mauthausen-Melk.
Decisiva fu in tutto questo, appunto, la figura del maresciallo Cortile. Una testimonianza molto forte anche la sua...
La figura del maresciallo Cortile emerge dagli archivi della storia grazie all'opera di ricerca dell'infaticabile colonnello Gerardo Severino, storico militare e già Direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza, che firma con me il libro “Il partigiano di Dio”. Cortile è medaglia d'oro al merito civile ed è già stato insignito del riconoscimento di "Giusto tra le nazioni". La sua è una testimonianza di fede, di senso del dovere, di spirito di servizio al prossimo e di grande umanità. In questo, don Gilberto Pozzi non poteva che avere una spalla forte. Basta leggere un passaggio di un documento d'archivio per capire il profilo del sottufficiale della Guardia di Finanza: “La famiglia Colonna constava di dieci persone. Il giorno 9 ottobre 1943 transitarono la madre, Pia Colonna Orefice, e le figlie Ersilia ed Elena. Furono accompagnate da Nella Molinari in piena notte verso il confine e quindi fatte passare oltre il reticolato dal maresciallo della Finanza Luigi Cortile. Abbiamo saputo solo di recente, con dolore e sgomento, che l’eroico Maresciallo Cortile è perito nel campo di concentramento di Mauthausen”. Si tratta della dichiarazione della signora Elena Colonna, redatta in data 25 maggio 2016 e conservata nel Fondo Nucleo di Ricerca - fascicolo “Luigi Cortile” presso gli archivi della Guardia di Finanza a Roma. Una testimonianza che dà il senso dell’opera compiuta dai tre "angeli del bene".
Cosa l'ha colpita di più della figura di don Gilberto Pozzi? Cosa lo spinse a rischiare la sua vita per gli altri?
Di lui colpisce la sua grande capacità di farsi prossimo. Don Gilberto tese la mano a tutti, raccolse le lacrime delle madri che non videro più tornare i loro figli dalla guerra. Tuttavia non smise mai di dare speranza a tutti, specialmente a quanti fuggivano dalle persecuzioni. Nel frattempo curava anche l'educazione dei giovani e dei ragazzi cliviesi che per lui rappresentavano un futuro di pace. Ciò che si apprezza rileggendo la vita di don Pozzi è il suo coraggio, netto, a un certo punto della storia. Egli non aveva mai nascosto il suo rifiuto verso le leggi razziali promulgate nel 1938 dal regime fascista, così come non aveva approvato l'ingresso dell'Italia in guerra il 10 giugno 1940. Quando a Clivio giunsero le prime salme dei giovani che lui aveva visto nascere e crescere non solo condannò nelle sue omelie, senza remore, la guerra, ma diventò, come ebbe a dire il cardinale Carlo Maria Martini "ribelle per amore".
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