Il vescovo Yazlovetskiy, ausiliare di Kyiv: la guerra non ha diviso la Chiesa in Ucraina
Antonella Palermo - Praga
A Praga proseguono le condivisioni del frutto del lavoro sinodale svolto a livello locale. La Chiesa ucraina, colpita dall'invasione militare russa, non ha potuto, nelle diocesi, approfondire i temi proposti. Eppure ha scoperto un volto concreto di prossimità e di reale sinodalità nella tragedia della guerra. Ce ne parla monsignor Oleksandr Yazlovetskiy, ausiliare di Kyiv-Zhytomyr, che ci confida di trovarsi tra 200 delegati con uno stato d'animo quasi di sospensione, di disorientamento, come se, dice, "in mezzo a tante realtà che parlano di armonia, io mi portassi dentro continuamente un lutto".
Questa assemblea è stata aperta con le parole di monsignor Grušas, che ha condiviso la speranza della fine dell’aggressione russa in Ucraina, perché si possa trovare in Europa una vera pace e riconciliazione. Che effetto le hanno fatto queste parole?
In effetti è stata una cosa molto gradita, del resto un po' ce lo aspettavamo, perché in fondo se sei in un ambiente cattolico, in qualunque posto vai trovi sempre solidarietà, conforto, preghiere. Di solito sono a Kyiv, ma ogni tanto vado in Italia, proprio prima di venire qui sono stato negli Stati Uniti, e ho ricevuto sempre parole di vicinanza.
Ma cosa significa sinodalità per voi, a un anno dall'inizio del conflitto?
A dire la verità è difficile parlare di sinodalità. Quando il Sinodo è cominciato io sono stato nominato responsabile per coordinare il lavoro di sette diocesi romano-cattoliche che abbiamo. Siamo partiti come tutti con le nostre speranze, paure. Ma quando è scoppiata la guerra la priorità ovviamente era un'altra. È difficile per noi seguire questi lavori e, a dire la verità, io non avevo tanta voglia di venire. Capisco che il mondo va avanti, che la Chiesa ha bisogno di affrontare tutte le sfide, però le nostre realtà e i nostri pensieri sono lontani, purtroppo.
D'altra parte, se vogliamo considerare una cosa 'buona' che ci ha portato vivere in guerra è proprio questa prossimità con la gente: nei rifugi, prendendo il tè con loro, aiutando con i volontari. Ogni parrocchia è diventata una piccola Caritas, con tanti sfollati e tante necessità. Insomma, questa guerra ha aiutato tanti sacerdoti in Ucraina a uscire dai propri appartamenti e a stare in mezzo al popolo con la preghiera e con l'aiuto. Sono stati davvero molto bravi. La nostra è una diocesi molto vasta, è stata in parte occupata dai russi all'epoca delle stragi a Bucha e Irpin. Ecco, io sono molto orgoglioso di come i preti hanno agito con la gente che scappava. Io spero oggi che questa vicinanza che abbiamo e stiamo sperimentando non la perdiamo, spero che rimarrà.
Quindi il conflitto non ha lacerato la Chiesa...
No, non ha diviso. Devo dire che all'inizio avevo tante paure. Noi giovani e di età media non avevamo vissuto la guerra. Eppure la nostra gente è stata molto brava. Ci sono delle eccezioni ma la maggior parte delle persone si sono avvicinate molto alla Chiesa. Anche noi abbiamo tante coppie sposate solo civilmente, e quanto adesso arriva la chiamata dell'esercito per combattere, loro decidono di sposarsi anche per timore che gli uomini possono non tornare. È bello, ci sono tanti matrimoni, tanti battesimi, tante situazioni in cui si cerca di regolare il rapporto con la Chiesa.
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