Senegal, Oblati: sentiamo nostro l'invito del Papa alla convivenza in Africa
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Quali echi ha diffuso nel continente africano il recente viaggio apostolico di Francesco in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan? E che cosa conosciamo dell'Africa, spesso appiattita in considerazioni che la rendono un monolite piuttosto che un prisma? Dal Senegal, il missionario Oblato di Maria Immacolata, padre Bruno Favero, di origini trevigiane, racconta di quell'anelito alla fraternità, scevra da interessi di lobby e rivendicazioni, su cui tanto insiste il Papa e per la quale da oltre trent'anni il sacerdote è impegnato insieme alla sua comunità.
I richiami del Papa in Africa non sono passati inosservati
Arrivò in Senegal nel '92, padre Bruno, subito dopo la visita nel Paese di Giovanni Paolo II. Trent'anni durante i quali ha osservato uno sviluppo abbastanza consistente nella regione, a spese di violente e prolungate criticità di ordine politico e sociale al sud, in Casamance. "In ogni missione dove sono passato non c’era né corrente elettrica, né acqua potabile e adesso invece c’è un po’ dappertutto. Soprattutto nella scolarizzazione vediamo dei progressi - spiega il religioso - che hanno raggiunto la quasi totalità dei bambini e ragazzi, almeno in alcune zone. Dal punto di vista religioso, quel viaggio del Successore di Pietro aveva lasciato il desiderio di apertura con i musulmani, e il dialogo nel tempo è diventato effettivamente un po’ più aperto, ufficiale in un certo senso". Dialogo, una delle parole chiave che ha scandito anche la presenza di Papa Francesco le settimane scorse tra i popoli di due Paesi dove la conflittualità ha assunto aspetti cronici. "In Congo l’impatto è stato molto politico, il Papa ha messo subito i puntini sulle ‘i’ - commenta Favero - e quelle parole 'lasciamo l’Africa agli africani e non deprediamola' sono state molto forti, colte anche qui in Senegal dalle opposizioni come un messaggio straordinario in un momento in cui le rivendicazioni economiche verso le potenze occidentali sono molto elevate".
Gli sforzi per garantire la sussistenza incidono sulla pastorale
Favero accenna anche alle realtà geografiche del Mali, del Burkina dove pure "è molto sentito questo discorso". Grande è l'apprezzamento che esprime inoltre a proposito del richiamo che il Pontefice ha fatto alla Chiesa africana per una fedeltà e un impegno, dice il missionario, che a volte rischiano di passare un poco in secondo piano presi, come si è, dagli sforzi per garantire la sussistenza giornaliera. "Bisogna darsi da fare per vivere e in questo senso la pastorale può soffrirne. L'invito dunque ai valori fondamentali della vita sacerdotale, pastorale, della vita religiosa è stato molto importante. In Sud Sudan il richiamo a una convivenza sotto tutti gli aspetti non può che far del bene a una società che è sempre tentata dall'effluvio nazionalista o comunque dagli interessi di qualche lobby. È questo un dato che vale anche per la nostra area".
La Casamance, banco di prova per una decentralizzazione
Nella Casamance, la striscia di territorio a sud del Senegal dove si incunea il Gambia, Favero ci arriva nel '99. Qui, dopo la presidenza Senghor, la situazione era esplosa all'inizio degli anni Ottanta: "un po’ per questioni legate alle terre, un po’ per lo spostamento di personale amministrativo da regioni diverse, un po’ per un sentimento di orgoglio nazionale fomentato dal leader carismatico che era stato alla guida del Paese". Favero riassume anni di tensioni con il divampare qui del desiderio di indipendenza marcato da una escalation e da regolamenti di conti tra villaggi e gruppi diversi fino alla fine degli anni Novanta. "La vicinanza con il Gambia e la Guinea Bissau ha amplificato il fenomeno perché le basi ribelli del Movimento delle Forze democratiche della Casamance (MFDC) erano sui confini e non era facile per le forze armate senegalesi intervenire opportunamente a questo livello. Ero presente proprio là in quel periodo, fino al 2000.
Avevamo più di cinquemila rifugiati, tanti erano i villaggi abbandonati, tante le sofferenze. Dal 2004 le cose sono molto migliorate al confine con la Guinea, poi, nel secondo decennio del 2000 il Movimento si esaurì". I negoziati di pace, sotto gli auspici della Comunità di Sant'Egidio, si svolsero nel 2012 quando il presidente Sall annunciò che la regione sarebbe stata un banco di prova per una politica di decentralizzazione avanzata. "Alla frontiera del Gambia esistono ancora delle basi di gruppi - aggiunge Favero - adesso però hanno posizioni molto lontane da quelle ideologiche del passato: si dedicano alla coltivazione della droga, della cannabis, al taglio della foresta. Dall’anno scorso l’esercito senegalese è intervenuto pesantemente in alcune zone per liberare alcuni territori".
Ricostruzione, sanità, scuole, accompagnamento dei rifugiati
Aver conosciuto gli anni di conflitto sanguinoso impose per necessità a padre Favero e alla sua congregazione l’impegno prioritario nell'accompagnamento dei rifugiati sulla strada del ritorno. Mentre procedeva l'opera di sminamento, i religiosi hanno aiutato a rifare interi villaggi. "Ci siamo preoccupati soprattutto della salute, delle farmacie di villaggio, della scuola; si trattava di riprendere in mano tutta l’economia della zona. Eravamo in prima linea nella ricostruzione, distribuivamo gli aiuti. La gente, sia cristiani che musulmani, aveva fiducia in noi e abbiamo potuto portare avanti le attività. Abbiamo ripreso la catechesi e l’impegno pastorale - racconta - specialmente con le donne per quanto riguarda l’animazione e la promozione femminile". Nel frattempo, nella bassa Casamance, il vescovo affidava loro la gestione del santuario, presso la foce del fiume omonimo, "un territorio allo stesso tempo molto bello e fragile dal punto di vista ambientale".
L'emigrazione è rallentata ma ha intrapreso altri percorsi
Si stava là, al fianco della popolazione e in particolare con i giovani, in una zona di forte emigrazione verso l’Europa che stava creando una vera e propria emorragia delle energie del Paese. "L'emigrazione ora ha subito dei rallentamenti - prosegue il missionario - sia perché ci sono molti più controlli da parte delle autorità, ma anche perché ha cambiato forma e itinerario. Prima percorreva il Burkina e il Mali, il Niger e approdava in Libia; in seguito si è spostata verso il Marocco, per la via marittima verso la Spagna. L’esperienza libica ha inciso molto su coloro che hanno incoraggiato tanti a prendere quella strada. Nel frattempo il governo ha cercato di dare delle risposte, considerato che il Paese ha il 60% della popolazione con meno di vent'anni. Difficile però dare lavoro a tutti, il problema resta acuto".
La grande sfida dell'inculturazione
Dunque l’esodo, non solo dalle campagne alle città ma anche verso altri lidi, mai ha subito una battuta d'arresto. In questo scenario, dove comunque il potenziale di crescita sarebbe alto, la sfida della missione dei padri Oblati è legata, dal punto di vista della nuova evangelizzazione, all’inculturazione. "Viviamo in una zona dove la religione tradizionale è molto forte sotto varie forme. C’è anche un desiderio di ritorno ad essa. Dobbiamo ricominciare daccapo", chiosa padre Bruno che ricorda l'apertura del centenario della parrocchia Santa Teresa del Bambin Gesù di Ossouye. La sfida è proprio presentare un cristianesimo che sia una risposta effettiva ai bisogni della nostra gente, e non solo quelli materiali. Inculturare, cioè entrare in dialogo e portare la bellezza del Vangelo. Non tutto è da buttare via, anzi, bisogna trovare il punto di incontro comune".
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