Terremoto, voci da Iskenderun: "Non è rimasto letteralmente più nulla"
di Isabella Piro
«Sono in un pullman, bloccato in mezzo alla neve da circa tre ore. Le strade sono impraticabili»: al telefono del nostro giornale, la voce di John Farhad Sadredin, responsabile di Caritas Anatolia, arriva disturbata. Dopo il devastante sisma verificatosi ieri nella parte sud-orientale della Turchia, le comunicazioni sono molto difficili. Sadredin è in viaggio da Istanbul a Iskenderun, dove si trova la sede principale dell’organismo caritativo. Ma nonostante il percorso sia lungo e difficoltoso, il piano per gli aiuti alla popolazione è già attivo e si aggiunge alla raccolta fondi lanciata da Caritas internationalis: «Abbiamo ordinato 400 coperte che ci verranno consegnato domani e ci stiamo organizzando per dare da mangiare ad almeno 200 persone», spiega. Nonostante le temperature rigide, sono tante le persone che «dormono in macchina o all’aperto» e l’emergenza principale è quella abitativa: «Servono case-container per accogliere gli sfollati», continua il responsabile di Caritas Anatolia, sottolineando poi con commozione che «molti alberghi del Paese hanno spalancato le porte per offrire ospitalità» agli sfollati. Un’altra grave emergenza riguarda «la mancanza dei macchinari necessari a rimuovere le macerie» e ciò rende più difficili la ricerca e il salvataggio dei sopravvissuti. «La sofferenza della popolazione è enorme — riesce a dirci Sadredin, prima che la linea telefonica si interrompa —. Tante persone hanno perso i loro familiari. Fortunatamente, la solidarietà, sia del governo che della comunità internazionale, si sente tutta».
Anche a Istanbul le comunicazioni sono difficili: nonostante la città sia situata a nord-ovest, quindi dalla parte opposta rispetto all’epicentro del sisma, facciamo fatica a contattare telefonicamente padre Claudio Monge, responsabile del Dominicans Study Istanbul, ovvero il Centro per il dialogo interculturale e interreligioso della città. Qui, il terremoto non ha provocato danni sostanziali, ma il clima generale che si respira è comunque drammatico. «È una tragedia — ci dice con voce addolorata padre Monge — della quale, purtroppo, abbiamo solo un bilancio parziale, perché molte zone terremotate non sono raggiungibili. Oltre alle vittime e ai feriti, bisogna pensare che chi è sopravvissuto non ha più nulla, letteralmente più nulla». Il religioso domenicano evidenzia il lavoro congiunto della Chiesa ortodossa, della Chiesa armena e della Chiesa cattolica per «far arrivare gli aiuti a tutti» e non solo ora, che si è nel pieno dell’emergenza, ma anche «in un secondo momento, quando bisognerà pensare alla ricostruzione». Anche perché «la popolazione ha bisogno di tutto», in particolare chi vive in zone in cui «le temperature non superano i dieci gradi di giorno, figuriamoci ora, in pieno inverno». Il pensiero di padre Monge va poi ai profughi che vivono nei campi in Siria al di là del confine turco, proprio là dove la furia del sisma si è abbattuta con devastante violenza, aggravando una situazione già difficile a causa dell’annoso conflitto nella regione. «Non dimentichiamo i profughi — conclude il religioso domenicano — Cerchiamo di capire quale sia la loro situazione», così da poter offrire loro tutto l’aiuto necessario.
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