La Cattedra dell'accoglienza, per uno sguardo solidale oltre le diffidenze
Antonella Palermo - Città del Vaticano
"La commozione e la vergogna, i sentimenti comuni provati di fronte alla morte di uomini, donne e tanti bambini non devono essere archiviati in fretta": è quanto si legge nel comunicato di presentazione del primo corso de La Cattedra dell’Accoglienza - un laboratorio formativo ispirato dal carisma e dall’eredità di don Francesco Bisinella, fondatore della Fraterna Domus e dell’Associazione del Volontariato Sociale Cristiano - che si svolge da oggi, 6 marzo, fino al 10 a Sacrofano, alle porte di Roma. Coinvolta una quindicina di Enti ecclesiali e civili nella promozione dell'evento. Venerdì 9 è prevista l'udienza con Papa Francesco.
Un approfondimento dei profili etici e antropologici dell'accoglienza
La tragedia del naufragio sulla costa crotonese, ma anche il sisma in Turchia e Siria, sono la drammatica cornice di cronaca in cui si inserisce questo appuntamento strutturato su cinque giorni per approfondire le basi antropologiche, etiche e filosofiche dell'accoglienza, nonché i suoi profili religiosi e le principali sfide giuridico-economiche del "sistema accoglienza". Il corso si avvale della competenza di docenti provenienti da diverse realtà accademiche italiane e propone momenti di confronto con varie esperienze pratiche. L’auspicio è che la Cattedra aiuti a evangelizzare i rapporti interpersonali e sociali, generando esperienze e stili di vita che diventino un alfabeto per l’annuncio del Regno perché, come affermava nel 1997 don Francesco Bisinella, “l’uomo di oggi ha bisogno di accoglienza, di chi lo ascolti, lo comprenda lo supporti”.
Sarà il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ad aprire i lavori nel pomeriggio di oggi. La lectio è affidata al rettore della Lataranense, Vincenzo Buonomo su “Le ragioni dell’accoglienza: una emergenza mondiale?”. Domani, martedì 7 marzo, è previsto anche il contributo del professor Maurizio Ambrosini, Docente di Sociologia delle Migrazioni all'Università di Milano. Lo abbiamo intervistato:
Professore, il titolo del suo contributo è: "L'accoglienza comincia dallo sguardo". Ci spiega meglio il significato?
Come noi trattiamo gli immigrati dipende molto da come noi li vediamo. L'immigrazione è la mobilità umana problematica. Quando si spostano le persone del nord del mondo e si attraversano i vari confini, anche noi non siamo considerati 'immigrati' e generalmente godiamo di un'ampia libertà di movimento. Così come le élites dei vari Paesi in via di sviluppo. Io faccio spesso l'esempio dei calciatori, si spostano, nessuno li chiama immigrati. Possiamo aggiungere il caso ben più drammatico dei rifugiati ucraini: nessuno li ha trattati allo stesso modo degli altri rifugiati, per fortuna. Hanno goduto di libertà di movimento e dell'accesso ai servizi sociali e al mercato del lavoro. Perché noi li abbiamo visti come persone meritevoli di protezione, che subivano una grande ingiustizia a seguito dell'invasione del loro Paese. Invece, parliamo di immigrati quando il loro arrivo e il loro insediamento sono visti come problematici: o perché si tratta di persone più povere o perché si tratta di persone meno "moderne" di noi. E quindi, il fatto stesso di chiamarle immigrate, di definire la loro mobilità come immigrazione, diventa fonte di una distanza e di una diffidenza.
L'Italia è disponibile, secondo lei, a cambiare sguardo?
L'abbiamo già fatto, dicevo, a proposito dei rifugiati ucraini. Io sono stato molto favorevolmente impressionato dalle mobilitazioni di tanta gente, sia nelle associazioni che in modo spontaneo, per portare aiuti ai rifugiati ucraini. Tra l'altro si tratta di 170 mila persone, quando sappiamo che gli sbarcati dal mare nel 2022 sono stati poco più di 100 mila. Centomila sbarcati dal mare e 72 mila domande di asilo sono state viste come un grande problema, forse come una invasione, 170 mila rifugiati ucraini no. Ecco perché l'accoglienza dipende dallo sguardo. Credo che abbiamo toccato con mano che la popolazione italiana è disponibile ad accogliere, se vuole, anche grandi numeri di persone, e ciò vale anche per gli stessi soggetti politici: nel caso ucraino hanno dimostrato una encomiabile compattezza nel dire sì all'accoglienza.
Ritiene che il decreto sulle Ong abbia in sé degli elementi di contraddizione se lo leggiamo, per esempio, alla luce della tragedia di Cutro?
Certamente il decreto contro le Ong è un provvedimento ad alto impatto simbolico. Basti pensare che le Ong nel 2022 hanno salvato l'11-12% del totale delle persone salvate in Italia. In gran parte, già nel passato o in particolare nell'ultimo anno, le persone o arrivano da sole - dalla Tunisia, per esempio - o sono tratte in salvo dal personale della Guardia costiera e della Marina militare italiana. Nel caso di Curtro, le Ong probabilmente non erano molto presenti su quella rotta già prima, ma il decreto ha impedito un miglior presidio delle acque e, se non ha avuto impatto in quel caso, ne potrebbe avere in altri attraversamenti dalla sponda sud del Mediterraneo. È invece in questione il ruolo delle navi militari e il fatto che non siano state chiamate prima a uscire in soccorso. Tra l'altro, dire che Frontex non le ha avvertite significa mortificare la competenza tecnica della nostra Marina, che è benissimo in grado di diagnosticare se una nave è in pericolo o se le condizioni del tempo potranno provocare dei rischi per le persone trasportate.
L’appello del Papa di ieri all'Angelus ha insistito sulla necessità di fermare i trafficanti, "non continuino a disporre della vita di tanti innocenti"...
Ma io credo che bisogna leggere tutto il messaggio del Papa. Io sono stato colpito dal fatto che i principali media e il governo e alcuni attori si siano concentrati solamente su quel passaggio. In realtà, il Papa ha invocato ancora una volta all'accoglienza, al soccorso, alla fraternità con chi fugge e chi chiede aiuto in mare. Ha chiesto di pregare e di piangere. Quindi io penso che il contrasto dei trafficanti si faccia aprendo vie legali di fuga per le persone che scappano da guerre e oppressioni, altrimenti si cerca di contrastare solo l'ultimo anello che è il mezzo che le persone usano per scappare quando non sono disponibili vie alternative. Credo che le parole debbano essere interpretate nel loro giusto senso e non per alimentare la retorica della chiusura dei confini.
È intervenuto anche il cardinale Zuppi dicendo che "quello all’emigrazione era un diritto garantito per tutti gli uomini, prima che sorgessero muri e nascessero paure". Quale il suo punto di vista?
Credo che effettivamente il cardinale Zuppi abbia colto un punto: di nuovo rimanderei al caso ucraino. Sono nostre scelte quelle di chiudere i confini verso certi immigrati e rifugiati, di esternalizzare per i Paesi di transito l'obbligo di accoglienza - penso alla Turchia e purtroppo a Libia, Niger, Marocco e altri Paesi - e complessivamente sono i nostri Paesi sviluppati e l'Europa in primo luogo che hanno deciso che non vogliono più di fatto accogliere richiedenti asilo e rifugiati, anche se circa l'85% dei rifugiati del mondo sono accolti in Paesi in via di sviluppo e intermedi e non nei Paesi più ricchi, tuttavia è la nostra politica dei muri, la politica di Frontex, che cerca di rendere impermeabili i nostri confini allo spostamento dei migranti poveri dei Paesi in via di Sviluppo.
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