Dialogo e cooperazione tra ebrei e cattolici dopo il Concilio
Don Paweł Rytel-Andrianik - Città del Vaticano
Le sfide affrontate da ebrei e cattolici nel dialogo e nella cooperazione dopo il Concilio Vaticano II sono stati al centro della conferenza intitolata “Roman Catholics and Jews after Vatican II: Taking stock for the future” che si è svolta ieri, 1° marzo, all’Università Angelicum di Roma. La conferenza fa parte di un più ampio convegno sulle relazioni Cattolico Ebraiche organizzato dalla Pontificia Università San Tommaso (Angelicum) a Roma, dall’Institute for Ecumenical Studies e dal John Paul II Center for Interreligious Dialogue.
Un maggiore dialogo tra ebrei e cattolici
Sono intervenuti nel corso dell'appuntamento il professor Gavin D’Costa della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino a Roma (Angelicum) e la professoressa Karma Ben-Johanan, la quale si è domandata perché i cattolici del Giappone, dell’India, del Pakistan, che non hanno mai incontrato gli ebrei, dovrebbero occuparsi così tanto della storia Ebraico-Cristiana. "Perché Gesù era ebreo - la sua risposta -. Perché la Bibbia ebrea è parte del canone cattolico e perché l’Apostolo Paolo e il magistero della Chiesa afferma esplicitamente che l’alleanza tra Dio e gli Ebrei è irrevocabile".
La studiosa, parlando con Vatican News - Radio Vaticana, ha poi sottolineato l'importanza di aprire un dialogo con le persone che finora non hanno voluto impegnarvisi. L'unico modo per sviluppare un vero dialogo ebraico-cristiano e non "piccole conversazioni tra rappresentanti", sarebbe di coinvolgere l’intera comunità ebraica e l'intera comunità cattolica, ha detto. “Mi auguro di vedere un maggiore dialogo in aree dove le relazioni ebraico-cristiane non sono così rilevanti, come i Paesi europei in cui ci sono solo poche comunità ebraiche, ma anche in Israele, dove il dialogo ebraico-cristiano è molto meno rilevante rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti, alla Germania o all'Italia”, ha detto.
L'approccio di Giovanni Paolo II
Soffermandosi sul contributo di San Giovanni Paolo II nel dialogo cattolico-ebraico, Ben-Johanan ha dichiarato che una delle cose più affascinanti dell’approccio "incredibilmente ricco e ampio" di Wojtyla all’ebraismo, è che il Pontefice polacco "è entrato nel mondo ebraico, nei regni e negli ambiti liturgici ebraici. È entrato in una sinagoga, è andato al Muro del Pianto. Giovanni Paolo II ha reso la conversazione e il dialogo ragionevoli e comprensibili anche agli ebrei che non conoscono la teologia cattolica".
La prospettiva cattolica
Dalla prospettiva cattolica, il professor Gavin D’Costa si è concentrato sul documento della Santa Sede del 2015 "I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29)" e ha sottolineato che "l'ebraismo rabbinico è anche un'autentica alleanza con Dio". Allo stesso tempo, ha ribadito che "la Chiesa cattolica insegna che Gesù Cristo è il salvatore di tutti gli uomini". D'Costa, parlando a Vatican News - Radio Vaticana sul futuro del dialogo cattolico-ebraico, ha affermato che prima di tutto significa assicurarsi di avere buone relazioni con i diversi tipi di ebrei. "Così siamo in grado di scoprire che cos'è l'ebraismo, come opera e che cos'è in termini di differenza dall'ebraismo biblico. L'ebraismo rabbinico ha un'intera tradizione orale e un modo di interpretare il testo da cui possiamo imparare molto". Il professore ha infine rimarcato che sarebbe bene leggere la Bibbia insieme. E, come esempio, ha citato i corsi di Amy Jill Levine, studiosa ebrea che studia e insegna il Nuovo Testamento.
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