Zamagni su Chiesa e nuove sfide sociali: agire sulle cause delle disuguaglianze
Adriana Masotti - Città del Vaticano
A tenere la prolusione nel tradizionale evento che inaugura il secondo semestre delle attività didattiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano è stato questa mattina Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. L’iniziativa si è tenuta nell’Aula Magna e si è aperta con i saluti del rettore Franco Anelli e con l’introduzione dell’assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo, monsignor Claudio Giuliodori. Quindi la relazione del professor Zamagni dal titolo “L’insegnamento della Chiesa e le nuove sfide sociali in campo economico ed ambientale”, che ha proposto un’ampia riflessione sul pensiero della Chiesa riguardo a questi due temi.
Zamagni: il pensiero della Chiesa riconosciuto nel mondo
I Corsi di teologia sono una peculiarità dell’Università Cattolica e intendono offrire una conoscenza ragionata e organica dei contenuti della Rivelazione e della vita cristiana. Inevitabile e necessario il confronto tra i contenuti della fede e le sfide del presente. Ai microfoni di Vatican News, Stefano Zamagni spiega il motivo dell'interesse della teologia per le questioni sociali di cui oggi l'economia e l'ecologia sono centrali, e offre una sintesi del suo intervento:
Professor Zamagni, per cominciare le voglio chiedere il motivo della sottolineatura dei temi economici e ambientali nell'introduzione ai Corsi di teologia all'Ateneo cattolico. Qual è il rapporto tra teologia e economia, tra teologia e ambiente?
Da sempre il pensiero sociale della Chiesa ha avuto come riferimento le circostanze storiche nelle quali l'umanità si è trovata a vivere. Non dimentichiamo che il cristianesimo è una religione incarnata, non incartata. Ciò vuol dire che deve innervarsi nella storia e con il passare del tempo la storia pone sempre problemi nuovi, sfide nuove. L'Università Cattolica del Sacro Cuore, che è una grande università e che è consapevole delle proprie funzioni, ha ritenuto di iniziare così il secondo semestre dell'anno accademico degli studi di teologia proprio perché - e questo io l'ho detto nella mia prolusione - c'è un certo ritardo dovuto a tante ragioni del pensiero teologico su queste questioni. Mentre su altri temi, da quello della bioetica, ai temi della morale, della famiglia ecc... , il pensiero teologico è andato avanti, quando si passa all'ambito economico e sociale, e nel sociale io metto anche l'ambiente, dobbiamo registrare una certa lentezza a prendere atto delle res nove di questa fase storica. E quindi l'Università Cattolica ha ritenuto di dare un segnale in questa direzione.
Ecco, professore, può dirci in sintesi quali sono stati i punti principali che lei ha trattato nella sua prolusione?
Certamente, io ho illustrato come il pensiero sociale della Chiesa abbia conosciuto in duemila anni tre lunghe fasi. La prima è quella che inizia con i Padri della Chiesa, basterebbe citare Ambrogio, Agostino, ed è una fase importantissima nella quale vengono posti tutti i pilastri del suo pensiero. E sono quattro i principi della Dottrina sociale della Chiesa. Questa fase avanza poi durante il periodo del basso Medioevo, con il pensiero di San Tommaso d'Aquino, con la scuola di pensiero francescana e termina con la proposta di un modello di ordine sociale che è l'economia di mercato. L'economia di mercato è una novità assoluta perché prima del 1300-1400 non esisteva, c'erano i mercati come luoghi di scambio, ma non l'economia di mercato, un modello di ordine sociale che nasce proprio dall'interno di questa riflessione.
A partire dal 1500 inizia la seconda fase, caratterizzata dalla Riforma protestante, e la Dottrina sociale della Chiesa cattolica subisce non proprio un arresto ma una sorta di depotenziamento: il fulcro, il baricentro del pensiero teologico si sposta da Roma, per intenderci, ai Paesi del Nord Europa perchè Lutero, ma soprattutto Calvino, hanno un impatto enorme. Ed è allora a partire dalla fine del Seicento che l'economia di mercato, che era stata pensata in funzione del bene comune, si trasforma in economia di mercato capitalistico. Nasce il capitalismo e avviene così un cambiamento radicale: il fine dell'agire economico non è più il bene comune, ma il bene totale, che è la somma dei beni individuali. E ancora oggi c'è gente che confonde le due cose che sono completamente distinte. Questa seconda fase dura circa 250 anni.
Con il secondo dopoguerra inizia la terza fase, che è quella attuale caratterizzata dal fatto che finalmente il pensiero sociale della Chiesa prende atto che non basta intervenire sugli effetti negativi prodotti dal modello capitalistico, ma che è necessario arrivare a incidere sulle cause. Se noi prendiamo, ad esempio, la Rerum Novarum di Leone XIII, vediamo che è ancora un'enciclica giocata in difesa, allora la questione operaia era al centro dell'attenzione e la Chiesa propone di correggere in un senso o nell'altro alcuni degli aspetti dell'economia capitalistica di mercato. Con la terza fase si cominciano invece ad aggredire le cause: pensiamo alla Pacem in terris di Giovanni XXIII che quest'anno conosce il 60º dalla pubblicazione, pensiamo ovviamente a Paolo VI con la Populorum Progressio, pensiamo a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI con la Caritas in veritate, e chiaramente a Papa Francesco di cui non c'è bisogno di dire perché ormai l'hanno capito tutti. Intendo dire cioè che il pensiero di questi Papi, pur nelle differenziazioni, su questo è unanime: dobbiamo aggredire le cause generatrici di quello che non va.
E che cosa non va nell'attuale sistema, professor Zamagni?
Le elenco cinque cose. Primo: l'aumento endemico e sistematico delle disuguaglianze sociali. Ma è mai possibile che di fronte all'aumento, anno dopo anno, delle disuguaglianze, si può pensare che la Chiesa possa stare zitta e cercare di rispondere invocando un po' di elemosina, di beneficenza e di filantropia? Giustamente la Chiesa afferma che noi dobbiamo aggredire le cause. Secondo: la distruzione dell'ambiente, c'è qualcuno oggi che può mettere in discussione questa emergenza? Ovviamente no e allora bisogna chiedersi che cosa è successo nel corso degli ultimi due secoli nei quali nessuno ha detto nulla. Terzo: il problema noto come "paradosso della felicità", che evidenzia come la felicità sia in continua diminuzione nel mondo, basta vedere il tasso di suicidi in continuo aumento. C'è l'ultimo libro di un premio Nobel dell'economia, un americano che si chiama Angus Deaton, che ha per titolo Morti per disperazione e il futuro del capitalismo e dice che oggi si muore per disperazione proprio nei Paesi dell'opulenza. Allora la Chiesa può stare zitta di fronte a questo? A uno che muore per disperazione non serve la beneficenza, perché la disperazione vuol dire mancanza di speranza. C'è poi il quarto aspetto che non va: è il problema che riguarda la natura del lavoro, perchè non si può pensare di considerare il lavoro umano come un qualsiasi altro fattore della produzione al pari del petrolio, delle materie prime ecc... Il lavoro di un essere umano non può stare sullo stesso livello. E quindi ecco il concetto di "lavoro decente" che viene per la prima volta esplicitamente citato nella Laborem exercens di Giovanni Paolo II dove si dice che il lavoro deve essere giusto, ma prima ancora deve essere decente cioè un lavoro che non umilia la dignità della persona, soprattutto delle donne. E infine il quinto che qualcuno dice non si può più fermare, ma io non sono d'accordo, ed è l'avanzata del progetto transumanista che è un progetto nato in California e che sta mietendo molto successo. La parola chiave è intelligenza artificiale, ma non quella che conosciamo, quella che andremo a conoscere fra un po', perchè l'obiettivo dichiarato è di rendere l'essere umano, la persona, irrilevante. Allora è ovvio che di fronte a una novità di questo tipo è inutile accontentarsi dei successi dell'intelligenza artificiale di cui tutti parlano, ma bisogna chiedersi se questa non è l'anticamera della distruzione dell'umanità.
Ecco, queste cinque grosse questioni, oggi il pensiero sociale della Chiesa e quindi la teologia sociale, deve avere il coraggio di affrontarle. E io sostengo il convincimento che solo un pensiero come quello della Chiesa cattolica è in grado di dare risposte a questi problemi. La gente sta aprendo gli occhi, capisce che in questa fase storica solo un pensiero come quello della Chiesa è in grado di uscire da quel modello di economia di mercato capitalistico di oggi per tornare allo spirito di un'economia di mercato civile com'era agli inizi, un'economia che è in funzione della persona e quindi del suo ben-essere, che non è soltanto l'avere. Perchè tutte le altre teorie che negli ultimi 30-40 anni sono state avanzate hanno dimostrato di essere incapaci. È importante farlo sapere a tutti che le migliori menti a livello mondiale, e alludo ai premi Nobel dell'economia anche non credenti o non cattolici, sono d'accordo su questo, quindi il mio compito è quello di dire ai teologi: non temete di portare avanti il messaggio al quale vi dedicate perché su di esso si appuntano le speranze di tutti coloro i quali già anticipano i rischi verso i quali stiamo andando.
Quindi una voce importante quella della Chiesa forse ancora non abbastanza forte - ma quella di Papa Francesco certamente lo è -, ma che secondo lei viene riconosciuta come valida...
È così. Una voce non ancora abbastanza forte perché dopo 250 anni in cui bisognava quasi chiedere scusa quando qualcuno pubblicava libri o articoli su queste tematiche, è ovvio che ci sia ancora una preoccupazione e un certo ritegno. Ma io le posso testimoniare che quando uno prende la parola nelle sedi internazionali di alto livello e parla in questo senso, le assicuro che è accolto da un grande silenzio, da un grande ascolto. Quindi il mio invito è a non aver paura, perché il mondo, la gente, attende da noi proprio questo.
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