Sudan, un missionario: si spara ovunque, una tregua ora sembra difficile
Christine Seuss e Alessandro De Carolis - Città del Vaticano
Da circa una settimana il Sudan è un Paese messo a ferro e fuoco da due fazioni, l'esercito regolare e i paramilitari del cosiddetto “Rapid Support Forces”. Uno scontro violentissimo che ha fatto oltre 400 morti e 3.500 feriti, secondo le cifre fornite dall‘Organizzazione mondiale della sanità e che oggi, 21 aprile, ha causato la morte anche di un operatore dell'Oim, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. La capitale Karthoum non è immune dall'ondata di combattimenti e da qualche tempo è diventata campo di battaglia, con sparatorie, lancio di missili, che colpiscono pure in altre aree. In città molte sono le persone che da giorni vivono asserragliate nei propri uffici da dove non sono potute più uscire per i combattimenti in strada.
Bomba in una chiesa
Di “situazione catastrofica” parla anche Medici senza frontiere (Msf), che sta curando in varie zone centinaia di feriti, molti sono “civili colpiti da proiettili vaganti e molti sono bambini”, ha riferito di Cyrus Paye, coordinatore dei progetti di Msf. La stessa situazione che fotografa a Radio Vaticana - Vatican News un missionario italiano raggiunto telefonicamente in Sudan dalla collega Christine Seuss. Il religioso, che ha chiesto di mantenere l’anonimato per ragioni di sicurezza, racconta che nella località di Bad “una bomba è caduta nel cortile della cattedrale cattolica, rompendo finestre e danneggiando l'edificio, fortunatamente in modo parziale”. E a Karthoum, continua, in certe aree “praticamente la sparatoria è continua” e “le annunciate fasi di coprifuoco non sono state rispettate”.
Il ruolo dei cristiani
La Chiesa come anche le altre comunità ecclesiali, dice, “si sono sempre astenute da commenti o da partecipazione alla scena politica” e hanno poca forza per incidere giacché “i cristiani sono una minoranza molto limitata numericamente” che si aggira attorno al “2-3% in tutto il Sudan”. C'è peraltro “una forte presenza di cristiani non sudanesi ma sud sudanesi, che però - spiega il religioso - non hanno voce in capitolo perché non sono più cittadini del Paese e quindi non hanno lo status politico per poter dire la loro”. Il missionario conclude osservando che se il viaggio del Papa in Suda Sudan lo scorso febbraio “ha dato un messaggio forte alla popolazione”, purtroppo in Sudan “non è stato non è stato percepito a livello di società civile o società politica” e quindi non sembra avere oggi “un effetto su sulla vita politica e sulla situazione sociale e militare”.
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