Giornata delle comunicazioni sociali: far pace con se stessi per poter parlare col cuore
Michele Raviart - Catania
Il messaggio del Papa per la 57 esima Giornata mondiale della Comunicazioni Sociali, che si celebra oggi ha come tema “Parlare con il cuore e farlo con mitezza”. In un tweet pubblicato oggi Francesco scrive "Non dobbiamo temere di proclamare la verità, anche se a volte scomoda, ma piuttosto di farlo senza carità, senza cuore". Il tema della giornata ha fatto anche da filo conduttore al 18 esimo Festival della Comunicazione della Famiglia Paolina, che si è concluso oggi a Catania con la Messa presieduta da monsignor Luigi Renna, arcivescovo della città, nella cattedrale di Sant’Agata. Una settimana di eventi che hanno coinvolto molte delle realtà ecclesiali e sociali della città etnea, in una manifestazione che ogni anno cambia diocesi ospitante e che nel 2024 si svolgerà a Tortona, in Piemonte. Tra gli organizzatori dell’evento, che ha visto Vatican News \ Radio Vaticana come media partner, suor Cristina Beffa, giornalista e responsabile delle Paoline per il festival, che segue dalla prima edizione.
Suor Cristina Beffa, quali sono le suggestioni che ci danno le parole del Papa per questa 57 .ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali?
Sono suggestioni molto interessanti per quanto mi riguarda, in quanto addetta alla comunicazione sociale per carisma. Sono molto interessanti perché è un messaggio che invita ad avere la consapevolezza che la parola è una forza e che può essere veleno o balsamo, a seconda dell'uso che se ne fa. Se però questa parola passa attraverso il cuore dell'operatore della comunicazione, del giornalista, dell'educatore, questa parola sicuramente si addolcisce, diventa una parola che resta attenta all'interlocutore, alla persona che c'è davanti, ai lettori del nostro articolo, agli ascoltatori del nostro programma. Però, per parlare col cuore anzitutto, ed è il suggerimento del messaggio del Papa, bisogna fare pace con se stessi. L'operatore della comunicazione deve fare pace con il proprio cuore, deve far sorgere la parola che comunica, da un silenzio consapevole, da una dolcezza raggiunta, da una specie di pace che si fa con la propria interiorità. Allora la parola sarà una parola che sorge dal cuore, sarà una parola che comunica la verità, perché questo è il nostro mestiere, però lo fa senza l'asprezza che spesso vediamo nei comunicatori.
Questo messaggio è la terza parte di un trittico composto dai messaggi degli ultimi tre anni..
Vedere, ascoltare e parlare...
Che sono poi le azioni che un comunicatore dovrebbe osservare. Nello specifico, nel messaggio agli operatori della comunicazione Papa Francesco chiede di superare il rumore indistinto che non ci aiuta a discernere nella complessità del mondo in cui viviamo…
Certo, è così. Non vorrei usare la parola discernimento e discernere, perché mi sembra un po’ complicata, e che non sia proprio una parola o un lavorio interiore che accomuna molto le persone. Però questa è una grande saggezza perché, come dicevo, bisogna fare pace, bisogna fare pulizia con se stessi, ed è questo il frutto del discernimento.
Anche etimologicamente comunicare con il cuore vuol dire anche comunicare cordialmente, come scrive proprio il Papa. In che modo ci si può approcciare, sia per quanto riguarda l'operatore dei media, sia la persona comune? Perché, lo ricordiamo, il messaggio di Papa Francesco per le comunicazioni sociali è rivolto sia agli operatori sia, se non soprattutto, alle persone…
A tutte le persone, certo. Ma mi sembra che comunicare la verità nella carità possa essere la via d'uscita giusta. Parlare con gentilezza. Sicuramente la caratteristica dell’asprezza, la caratteristica dell'irruenza è una caratteristica che accomuna molti informatori. Però, secondo il Papa, non è la via più giusta perché se si comunica con dolcezza si raggiunge più facilmente l'altro. C'è un punto del messaggio che mi sembra molto interessante, perché dice che per comunicare secondo verità nella carità, occorre purificare il proprio cuore, l’abbiamo già detto, però questo invito diventa proprio un vero appello da parte del Papa che dice: “Parlare con il cuore interpella radicalmente il nostro tempo, così propenso all'indifferenza e all'indignazione, a volte anche sulla base della disinformazione che falsifica e strumentalizza la verità”. Ecco, se noi esigiamo come comunicatori di purificare il nostro cuore prima di fare la comunicazione, sicuramente superiamo questo dualismo dell'indifferenza e dell'indignazione. L'indignazione è molto vicina alle persone che non sono pacificate con se stesse. Allora questa indignazione oscura la verità, porta una forma di disinformazione, non voglio dire proprio falsificazione, ma una disinformazione che falsifica, che strumentalizza la verità. E questo lo vedo non solo in tanti articoli, in tanti servizi dei giornali, ma purtroppo lo vedo applicato tanto bene alla politica.
Il Papa chiede di disarmare gli animi, di disarmare il linguaggio per promuovere il dialogo e per promuovere la pace. Quanta responsabilità c'è poi nell'applicare questi processi che ci suggerisce il Papa per narrare la guerra, che di fatto è quello che gli operatori della comunicazione stanno facendo da più di un anno per quanto sta avvenendo in Ucraina…
Disarmare la parola in tempo di guerra forse è più facile che disarmare la parola in tempo di pace. E per noi che viviamo in un territorio dove c'è la pace, anche se siamo molto attenti a quello che succede in Ucraina, è un invito molto saggio, secondo me, e lo dobbiamo applicare, non solo guardando la guerra, ma anche nella nostra socialità, nella nostra civiltà, nella gestione dei nostri centri culturali, nella gestione del sociale. Ecco, noi dobbiamo imparare proprio a disarmare la parola. Parlare con mitezza è il sottotitolo del Festival della Comunicazione di Catania e mi sembra uno slogan molto appropriato in questo senso, perché se parli con mitezza, già di per sé la parola rimane disarmata.
A proposito del Festival della Comunicazione di Catania, che si è concluso oggi con la messa celebrata dall'arcivescovo Renna. E' stata una settimana di eventi, preceduta da altre settimane di eventi. Come Catania ha accolto questo festival, che ormai è giunto alla 18ma edizione?
Il Festival di Catania è stato un festival grandioso e non è esagerata questa parola. Intanto, nonostante i miei costanti inviti a ridurre gli eventi perché sarebbero stati troppi, perché sarebbe stato troppo faticoso, laCommissione del luogo invece ha insistito per portare tanti eventi nel programma e realizzarli. Devo fare quindi una valutazione molto positiva. Sicuramente l'arcivescovo Luigi Renna merita il nostro ringraziamento, molto cordiale e molto sentito, perché il compiacimento del risultato del Festival nasce proprio dal fatto che l’arcivescovo ha accettato che a Catania si svolgesse questo Festival e non era scontato. Lui ha aderito di buon cuore dicendoci: “ma questa è una cosa interessante non possiamo non farla”. Vorrei anche esprimere un elogio per la Commissione esecutiva, perché i suoi componenti hanno lavorato con intelligenza, con molta pazienza, con molto coraggio. Nel Festival della Comunicazione di Catania tutti i linguaggi della comunicazione sono stati portati all'evidenza. Io ho visto il linguaggio della musica, il linguaggio della poesia, il linguaggio di un convegno, di un incontro, dell'arte grafica e pittorica. Ecco, ho visto questi linguaggi avere un loro momento di esaltazione, perché all'interno del Festival della Comunicazione hanno trovato uno spazio, uno spazio ad hoc. Linguaggi esaltati, celebrati, portati all'attenzione del pubblico, con gentilezza, con cordialità, senza esagerazioni, ma hanno trovato la loro esaltazione.
Che significa per una chiesa locale attivarsi per far sì che questi linguaggi poi si si armonizzino insieme in un tema comune e mettere poi in rete quelle che poi sono tutte le varie realtà, dall'arcivescovo, chiaramente, alle associazioni, ai musicisti locali…
Lo scopo del Festival della comunicazione è proprio questo: riuscire a portare l'attenzione di una comunità ecclesiale sui contenuti del messaggio della comunicazione che 18 anni fa, quando abbiamo cominciato, abbiamo detto dovesse essere il compito di noi Paolini e Paoline, perché vedevamo che questo messaggio fosse un po’ trascurato, ignorato, non portato all'evidenza come meriterebbe. Quindi, a partire dal messaggio noi vogliamo che, di volta in volta - siamo stati a Rieti l'anno scorso, l'anno precedente siamo stati in Puglia, siamo stati anche a Cesena, Chioggia e così via - nelle diocesi ci sia la possibilità o l'occasione di fermarsi e di dire: la comunicazione è una cosa che ci interessa, la comunicazione è una cosa importante, l'evangelizzazione non potrebbe essere così efficace se non ci fosse la comunicazione. Questo è il fine del Festival e riuscire a far lavorare insieme le varie associazioni che in una diocesi ci sono è un traguardo molto interessante. Devo dire che a Catania questo si è realizzato, in altre diocesi è stato un po’ soffocato. Qui mi sono trovata con Comunione e Liberazione, l’Azione Cattolica, non voglio dimenticare nessuno… Però tutte le associazioni ecclesiali su questo territorio di Catania si sono ben inserite nel Festival della Comunicazione e sono state certamente un arricchimento. Gli stessi componenti della segreteria organizzativa confermano la ricchezza di aver potuto dialogare su un piano alto, elevato, come è la comunicazione, con le associazioni del territorio. Ecco, questo vuol dire aver raggiunto l'obiettivo che il Festival della comunicazione si propone.
Un'ultima cosa, ritornando al messaggio del Papa, c'è un passaggio in cui il Papa parla alla Chiesa, quando dice di parlare con il cuore nel processo sinodale. In questo senso che indicazioni ci dà il Papa?
Ci dà l'indicazione che ascoltare l'altro è fondamentale, è importante. La comunicazione non si realizza se non si ascolta l'altro. Possono essere anche dei cristiani molto semplici, come degli operatori della comunicazione, come può essere il clero, come può essere il fedele impegnato. Ma se, per esempio, un vescovo, un arcivescovo nella sua diocesi non è in grado o non realizza appieno l'ascolto dell'altro, tradisce un po’ quello che è il messaggio della Chiesa. Tradisce il messaggio della Giornata delle comunicazioni sociali di quest'anno.
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