Don Sacco: siamo tutti col Papa, la guerra si ferma fermando le armi
Tiziana Campisi - Città del Vaticano
Pieno sostegno all’azione di pace della Santa Sede per fermare la guerra in Ucraina e alla missione di pace affidata al cardinale Matteo Zuppi: hanno voluto manifestarlo ieri con un comunicato congiunto oltre trenta associazioni e movimenti ecclesiali che insieme, da tempo, chiedono anche una discussione pubblica sull’adesione dell’Italia al Trattato Onu 2017 di messa al bando delle armi nucleari. Don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi Italia, afferma in una intervista ai media vaticani che per porre fine alla guerra nell’Europa dell’est occorre anzitutto far tacere le armi e poi avviare trattative intorno a un tavolo. E dunque occorre fermare l’invio di armi e impegnarsi invece perché vengano avviati dialoghi di pace. Da qui l’appoggio all’iniziativa di Papa Francesco che ha voluto inviare il cardinale Zuppi, in Ucraina, in Russia e negli Stati Uniti.
Quali motivazioni vi hanno spinti a sostenere l'azione di pace della Santa Sede per fermare la guerra in Ucraina?
Primo, il renderci conto che siamo davanti a una tragedia, una follia della guerra, e bisogna fare di tutto per fermarla, non per alimentarla. Dobbiamo non abituarci alla guerra. Il Papa quante volte ci ha detto: 'Non rassegniamoci, non abituiamoci'. Noi abbiamo un po' la sensazione che, dopo un po' di tempo, come a tutte le cose, anche alla guerra ci si abitui. Allora questa scelta di Papa Francesco di mandare il cardinale Zuppi prima a Kyiv, poi a Mosca e poi negli Stati Uniti, non può essere vista come una delle tante cose che succedono al mondo, ma è la strada che dobbiamo percorrere. Noi siamo un gruppo molto grande, di decine di associazioni di ispirazione cristiana, ma anche molto diverse: dalle Acli, all’Agesci, Pax Christi, Comunione Liberazione, le teologhe italiane, la Fondazione Don Primo Mazzolari, La Pira, eccetera. Quello che ci sta cuore all'inizio era l'impegno sul nucleare, ma siamo coinvolti in questa guerra, non possiamo lasciare il Papa da solo e non possiamo neanche limitarci a dire a cosa serva la missione, la presenza, i passi del cardinale Zuppi. Ci sono molti che si oppongono al cessate il fuoco, e allora mentre qualcuno dice “Non serve a niente”, e qualcun'altro “Se vuoi la pace prepara la guerra”, noi diciamo se vuoi la pace bisogna fare di tutto, anche l’impossibile per preparare la pace.
Quali presupposti sono necessari per avviare serie trattative di pace?
Nessuno di noi firmatari di questo appello è un politico, uno stratega, ma credo sia evidente - e lo ha detto bene anche il Papa l'anno scorso, nell’introduzione al libro pubblicato a fine marzo scorso dalla Libreria Editrice Vaticana “Francesco contro la guerra” - che la guerra va fermata. Perché le guerre vanno fermate, scrive il Papa, e si fermeranno soltanto se noi smetteremo di alimentarle. Il primo passo è il cessate il fuoco; il cessate il fuoco non vuol dire stabilire che vince il più forte. Qualcuno ci dice: in questo modo voi siete filoputiniani, volete la distruzione dell'Ucraina. No, il cessate Il fuoco è solo anticipare l'obbligo di sederci intorno a un tavolo, perché tutte le guerre finiscono intorno a un tavolo. Il problema è, come ha detto il Papa all’Angelus del 2 ottobre che io ho ascoltato mentre ero sul treno di ritorno da Kyiv con la carovana “Stop the war now”, queste sono strade da percorrere. Il Papa in quella occasione ha detto: ma di quanti morti abbiamo ancora bisogno? E allora per le trattative dobbiamo avere tanti morti per sederci intorno a un tavolo? Dunque, le condizioni sono prima di tutto il cessare il fuoco e poi, come abbiamo fatto con la carovana “Stop the war now”, siamo andati accanto alle vittime, per sostenere le vittime - siamo andati a Odessa, a Leopoli, a Kyiv, siamo stati per la domenica delle Palme a Odessa e a Mykolaiv - per dire: se questo mondo sembra credere nella forza, nella logica della forza, nella violenza e nella guerra, noi crediamo, invece, nella forza dei rapporti, nelle relazioni. E anche essere là, alcuni giorni, alcuni mesi come fanno i volontari dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, è un modo di creare le premesse per la pace e per dire: dobbiamo impedire che questa guerra continui o, peggio ancora, degeneri.
In tal senso, in che modo la società civile può offrire il suo contributo?
La società civile è fondamentale. L’abbiamo visto anche in queste carovane di “Stop the war now”. Siamo andati in pochi perché è difficile mobilitare migliaia e migliaia di persone, però siamo andati e abbiamo fatto migliaia di chilometri. La società civile è importante perché esprime il suo “no” alla guerra. Noi, come Pax Christi, lo abbiamo detto da subito ma anche altri, la società civile deve dire: non si ferma una guerra fornendo armi a una parte in conflitto. Per tanti motivi, perché se forniamo armi poi non sappiamo bene che fine fanno. Ricordiamo, ad esempio quell’aereo ucraino carico di armi caduto in Grecia. Che fine fanno le armi che mandiamo? Ma oltretutto, in questo modo. alimentiamo il conflitto e invece di essere autorevoli per un possibile negoziato diventiamo parte del conflitto. E allora noi abbiamo detto: non vendiamo armi - e si parla di milioni e milioni di miliardi di euro in armi - ma anche a tutti gli altri conflitti nel mondo che sono alimentati da chi vende le armi. Il Papa lo diceva bene quando è andato a Redipuglia nel 2014, il 13 settembre. Diceva: c'è avidità di denaro e di potere, c'è l'industria delle armi che sembra essere tanto importante. E una guerra come questa è proprio una strada spianata per la lobby delle armi, per rilanciare l'industria delle armi. Questo è diabolico e la società civile - ne siamo convinti - non vuole imboccare questa strada di morte.
Nei giorni scorsi l'Unione Europea, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno deciso l'invio di nuove armi e nuovi aiuti militari all'Ucraina. Come coinvolgere, invece, i governi in iniziative di pace?
Questa situazione è davvero drammatica. L'Unione Europea, l'Italia anche, appena iniziata l'invasione della Russia, quel famoso 24 febbraio, la prima scelta che è stata fatta è: mandiamo le armi. Non c'è stata una discussione politica, non ci si è fermarti per cercare di capire cosa stesse succedendo. Solo armi, armi, armi. Da aprile del 2022 continuiamo a inviare armi. I governi devono fare i governi, la politica deve fare la politica, e quindi la politica deve dire non “si” alla logica della lobby delle armi e mandare sempre armi, ma dire in quale modo si ferma una guerra o si previene. Quello che è mancato, e sta mancando tuttora, è una riflessione politica. Per esempio, dare forza all'Onu, che sembra scomparsa. Invece c'è una forza enorme della Nato. Ma la Nato non rappresenta i governi politici. Allora i politici, i governi, lo dico anche per il governo italiano, devono fare politica, devono recuperare la dimensione delle trattative, del dialogo. Noi non abbiamo visto percorrere, se non in modo quasi superficiale o simbolico, questa strada. Ed è per questo che diciamo, visto che il Papa manda il cardinale Zuppi, lo vogliamo sostenere. Questo dovrebbero farlo tutti i governi ed è un lavoro che vogliamo sostenere. Se il cardinale Zuppi ha bisogno di un sostegno, e in qualsiasi modo di una presenza, oltre che di una preghiera, noi ci siamo. Ma ci dovrebbero essere anche i governi, che invece spesso siedono al tavolo delle lobby delle armi.
Tra qualche giorno ricorre l'anniversario delle esplosioni nucleari a Hiroshima e Nagasaki. Perché simili tragici eventi non si ripetano, qual è il vostro appello?
Questo cartello di associazioni è nato per sostenere il Trattato Onu che mette al bando le armi nucleari del luglio 2017. Siamo davanti a una decisione ufficiale delle nazioni Unite che mette al bando le armi nucleari. Hiroshima e Nagasaki, tra pochi giorni, ci ricordano la tragedia, e noi non possiamo permetterci di fare solo memoria - magari con qualche lacrima di coccodrillo - e ignorare che il potenziale nucleare oggi nel mondo è in grado di distruggere la terra più volte. E non possiamo nemmeno ignorare che lo abbiamo sul nostro territorio italiano, nelle base di Ghedi, vicino Brescia, e Aviano, vicino a Pordenone. Sono bombe nucleari di proprietà degli Stati Uniti ma sul nostro territorio. Adesso, forse sono già arrivate, o arriveranno, le nuove bombe B61-12, e queste cose creano le premesse perché vengono usate, perché Hiroshima e Nagasaki si ripetano. Allora, il nostro appello è: Italia, ripensaci. C'è una campagna in Italia che si chiama proprio “Italia, ripensaci”. Faccia dei passi, la pace è fatta di passi. Il cardinale Zuppi compie dei passi andando a incontrare le varie situazioni coinvolte in questa guerra; facciamo in modo che ci siano dei passi per la messa al bando delle armi nucleari. Papa Francesco spesso ripete che le bombe nucleari sono immorali, non solo se si usano ma anche solo se si possiedono. È immorale anche solo il possesso. Noi le abbiamo sul nostro territorio, chiediamo che Hiroshima e Nagasaki provochino un sussulto di coscienza perché vengono messe al bando quelle che abbiamo, oggi, nel 2023.
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