La tradizione della Chiesa dei Padri rivive nella predicazione di don Giussani
di Angelo Scola *
Un’appassionata conoscenza del cuore dell’uomo inseparabile da un’inesausta curiosità della ragione davanti al reale sono i due fili con cui è tessuto Il senso religioso, pilastro portante della proposta con cui don Giussani mi affascinò fin dall’inizio. Un approccio profondamente consonante con l’inquietum cor di Agostino. Giovani studenti restavano impressionati dalla sua capacità di comunicare la fede cristiana facendo riferimento ad autori non usuali, non solo al “suo” Leopardi, ma persino a testi di filosofi e letterati contemporanei e, talvolta, a prima vista distanti dalla tradizione cristiana. Il suo pensiero sorgivo assumeva le istanze della cultura contemporanea rendendole strumento e occasione per l’annuncio della tradizione cristiana in un modo critico e sistematico, degno di rilievo culturale e sociale. Nello stesso tempo, così, il dinamismo dell’annuncio cristiano smetteva di essere qualcosa di relegato nel passato, ma veniva restituito ai giovani uditori con freschezza contemporanea.
Papa Francesco, nell’udienza ai membri di Comunione e Liberazione del 2015, ricordava uno scritto scientifico di don Giussani del 1967, che potrebbe rivelare il suo principio di metodo fondamentale nel confronto critico con autori e figure non cristiani: Il cristianesimo non si realizza mai nella storia come fissità di posizioni da difendere, che si rapportino al nuovo come pura antitesi; il cristianesimo è principio di redenzione, che assume il nuovo, salvandolo. Grazie al modo persuasivo di procedere di Giussani, l’uomo contemporaneo è invitato a rivivere il dramma della libertà davanti al fatto cristiano da cui scaturisce, per grazia, la fede. Il presente cristiano è così riportato con energia alla stessa posta in gioco delle origini della pretesa cristiana: La certezza della mia fede nasce da ieri, dall’altro ieri, da san Gregorio Magno millecinquecento anni fa, nasce da sant’Ireneo milleottocento anni fa, nasce da san Policarpo millenovecento anni fa, nasce da san Giovanni, nasce da sant’Andrea, nasce da Simon Pietro.
La forza educativa di Giussani non consiste soltanto nel riportare al tempo presente la freschezza originaria dei Vangeli. Per quanto non fosse un esperto studioso delle antichità cristiane, trovava in tutta la tradizione della chiesa delle origini espressioni, episodi e figure a lui congeniali per descrivere il cuore dell’esperienza cristiana. Stando alle stesse parole di Giussani, questo dinamismo di rivitalizzazione della tradizione si rifà al modo stesso con cui Gesù si presentò all’interno della tradizione giudaica: Quello che incominciò a dire di nuovo, lo disse dentro l’antico: era un nuovo modo di vedere il mondo. Le parole erano le stesse: era un nuovo modo di vedere le parole antiche. Insisto perché questa è la vita del cristiano, essere cristiani è questo: una novità che si apre sempre il varco dentro le parole antiche.
L’annuncio del cristianesimo è pertanto sia “principio di redenzione” che assume il nuovo, sia nuovo modo di ridire “le parole antiche”. Nuovo e antico sono abbracciati nell’unico avvenimento cristiano. Esso è contemporaneamente avvenimento del passato che ha una pretesa di significato per la propria vita ed avvenimento presente che si può spiegare solo in forza di un avvenimento del passato: «così l’avvenimento presente stabilisce una memoria che ha il suo contenuto ultimo in quell’avvenimento passato». Tale modo dinamico di rapportarsi al passato, costitutivo dell’avvenimento cristiano, non ha nulla a che fare con la mera tradizione di un sistema di concetti o di dottrine che, come una zavorra, vincolerebbe al passato. Nello stesso tempo è, però, cosciente che non si può prescindere dalla memoria del passato, soprattutto dall’epoca patristica e medievale, testimoni privilegiati dell’unità dell’esperienza cristiana, per comprendere il presente e il futuro della Chiesa.
Credo che tale atteggiamento sia quanto mai profetico non solo per la Chiesa del tempo di don Giussani, ma, forse ancora più, per quella di oggi, troppo spesso incagliata nelle secche di una contrapposizione formale tra progressismo e tradizionalismo. Si tratta di due figure speculari di una medesima riduzione del cristianesimo a morale. Invece, l’autentico ritorno all’annuncio del cristianesimo come avvenimento presente permette di trovare nuove possibilità per dire l’antico secondo modi originali di entrare in dialogo critico con le questioni poste dalla cultura contemporanea. Il volume Giussani e i Padri della Chiesa. Una tradizione vivente, curato dall’associazione Patres, rappresenta perciò un’occasione per familiarizzare con il modo originale con cui don Giussani ha comunicato nel presente il suo legame con la tradizione cristiana. La maggior parte degli studiosi che hanno collaborato al volume, hanno iniziato a studiare le origini del cristianesimo spinti proprio dall’affetto trasmesso a loro nei confronti della tradizione cristiana grazie al carisma donato a don Giussani.
Nello stesso tempo, il taglio volutamente semplice e immediato del volume, costituisce, anche per il lettore contemporaneo poco edotto in materia, l’occasione per un primo avvicinamento a grandi figure della tradizione cristiana (Agostino, Ambrogio, Gregorio di Nazianzo e tanti altri), che purtroppo sono sempre meno presenti come riferimenti immediati o indiretti della predicazione e della catechesi cristiana. Auguro ai lettori di vivere questo nostro tempo di “decadenza” delle società civili del Nord occidente opulento del pianeta e di “travaglio” della Chiesa guardando ai Padri che, in un mondo del tutto alieno alla tradizione cristiana, non persero la speranza di annunciare la fede, convinti di ciò che aveva salvato la loro vita e l’aveva radicalmente cambiata.
* Cardinale, arcivescovo emerito di Milano
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