Monsignor Ghiberti e il Vangelo della Sindone
di Roberto Repole*
Il Vangelo di Giovanni era il suo ferro del mestiere, e la sua passione. Con quel testo sapeva portare i suoi ascoltatori nel cuore del mistero messianico ma anche nel cuore della città di Gerusalemme («Quelle mura – diceva – ci danno il contesto giusto per comprendere meglio, quasi per vedere i passi e gli incontri di Gesù fra la gente del suo tempo»).
Mons. Giuseppe Ghiberti ci ha lasciato sabato 2 settembre, dopo una malattia affrontata con dolcezza e serenità, come era nel suo stile, nella sua stessa natura di uomo e di credente. Ho voluto iniziare il mio ricordo partendo da Giovanni e da Gerusalemme perché questa è l’impronta che mons. Ghiberti ha lasciato una volta per tutte nella mia vita: fui suo allievo di Nuovo Testamento alla Facoltà teologica torinese; ma egli fu, per me e per generazioni di studenti e allievi del Seminario, un «maestro» non solo di Sacra Scrittura. Negli ultimi decenni poi, dopo essere stato suo collega, fui onorato della sua amicizia; un legame semplice che coltivammo con alcuni appuntamenti semplici ma puntuali durante l’anno.
La dolcezza di carattere, unita a una grandissima delicatezza nel trattare con le persone, sono state un insegnamento che andava ben al di là delle lezioni. Perché il «professore» è stato, in ogni momento, un vero prete: per anni e anni, ogni sabato e domenica, mantenne l’impegno presso la parrocchia di Santa Rita, per andare a confessare e celebrare; fino al trasferimento alla Casa del Clero fu fedele cappellano per la comunità delle monache presso la chiesa del Suffragio, dove abitava. Ancora: non venne mai meno all’impegno presbiterale negli organismi diocesani, consapevole che il mestiere di professore di Facoltà non poteva non confrontarsi con la realtà più ampia e complessa della vita della Chiesa.
E però mons. Ghiberti è stato «personaggio» di statura internazionale: il suo lavoro accademico e le attività collegate alla Sindone lo hanno messo in contatto con realtà anche diversissime di Chiesa e di istituzioni universitarie. Per 10 anni (1997 - 2007) è stato membro della Pontificia Commissione Biblica presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger. Ma con il futuro Benedetto XVI si conoscevano da prima, si stimavano e si volevano bene: le «vacanze» di mons. Ghiberti erano sempre a Monaco di Baviera, possibilmente per l’intero mese di agosto, fin dagli anni in cui Ratzinger vi era arcivescovo.
Il lavoro con la Sindone mise mons. Ghiberti in contatto con ambienti scientifici e accademici di tutto il pianeta. Sotto la guida dei Custodi pontifici card. Saldarini e card. Poletto mons. Ghiberti progettò e promosse le innovazioni fondamentali per la custodia del Telo. Negli anni ’90 venne avviata la Commissione internazionale per la conservazione, che indicò l’opportunità di mantenere la Sindone in posizione orizzontale, distesa e non più arrotolata. Nel 2000 venne realizzata l’attuale teca per la conservazione. Nel 2002 il lavoro forse più importante: il «restauro» del Telo, con la rimozione delle impurità accumulatesi nei secoli e l’asportazione delle «toppe» che, dai tempi dell’incendio di Chambéry, rendevano difficoltosa la «lettura» dell’immagine. Un'impresa di grande impegno, che mons. Ghiberti affidò alla persona forse più qualificata al mondo nel restauro di tessuti antichi, la prof. Mechthild Flury Lemberg, che aveva già restaurato il saio di san Francesco d’Assisi. Sempre nell’ambito delle attività scientifiche collegate alla Sindone non si può non ricordare il Simposio che, nel 2000, riunì a Torino scienziati di tutto il mondo per un confronto «laico», senza pregiudiziali, sui risultati delle ricerche intorno al Telo e alla sua immagine. Il volume degli Atti di quel convegno in cui Ghiberti ebbe la grazia di invitare anche me, giovane teologo, rimangono a tutt’oggi una pietra miliare negli studi sindonologici.
Ma non con le attività scientifiche mons. Ghiberti ricollegava il suo impegno per la Sindone alla sua vita di professore e di prete. Lungo gli anni egli ha lavorato intensamente a costruire l’universo «pastorale» in cui la Sindone, e il pellegrinaggio delle ostensioni, si collocano all’interno della vita della Chiesa. Pubblicazioni, conferenze, viaggi, incontri… da quel lavoro immane sono venute le esperienze e le idee che hanno consentito ai Papi e ai Custodi di approfondire il magistero sulla Sindone. San Giovanni Paolo II la definì «sfida all’intelligenza e specchio del Vangelo», nel memorabile discorso durante la sua visita del 24 maggio 1998. E Benedetto XVI avviò quella riflessione profonda e attualissima sulla Sindone come «icona del Sabato Santo», segno del silenzio, dell’attesa e della speranza.
Per don Ghiberti l’esperienza della Sindone andava comunque connessa a una testimonianza diretta e concreta, a un impegno pastorale. Per anni il professore è stato impegnato nelle attività ecumeniche (Amicizia ebraico-cristiana, Ottavario); dopo l’ostensione del 1998 incoraggiò la fondazione dell’Amcor (Amici delle Chiese d’Oriente): un’associazione per conoscere e sostenere la presenza delle Chiese in quei Paesi dell’Europa orientale e dell’Asia Minore in cui la fede cristiana si trovava nelle condizioni più difficili. Quanto fosse «profetica» quell’opzione sembra dirlo anche oggi il sanguinoso conflitto in Ucraina…
La Sindone lo aveva catturato, totalmente e definitivamente. Voglio chiudere con le sue parole, un ricordo preso da uno dei libretti che sono insieme l’insegnamento e il testamento di mons. Ghiberti («Davanti alla Sindone, Paoline, Milano 2010»). «Furono le ostensioni a portare le occasioni più belle e durature: ogni mattina la presenza al cambio delle guardie offriva la possibilità di un quarto d'ora trascorso in totale solitudine davanti all'immagine che incominciava a essere illuminata. Un privilegio di cui certamente il Signore mi chiederà conto».
Roberto Repole, arcivescovo di Torino*
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