Caritas Italiana: pregare per una tregua a Gaza, è urgente l’aiuto umanitario
Eugenio Bonanata – Città del Vaticano
Occorre incrementare l’arrivo di aiuti e sospendere le ostilità per consentire la riorganizzazione dell’assistenza umanitaria. A lanciare l'appello per Gaza è Fabrizio Cavalletti, responsabile di Caritas Italiana per il Medio Oriente ancora scosso per la morte di una delle operatrici di Caritas Gerusalemme durante il raid dei giorni scorsi presso la Chiesa greco-prtodossa. “Serve un’azione immediata”, afferma a Telepace. “Il rischio è di arrivare ad una catastrofe totale”.
Situazione grave, rischio epidemie
Il quadro è tristemente noto: niente carburante; assenza di acqua potabile a causa della rottura degli impianti di desalinizzazione; mancanza di farmaci e beni di prima necessità. “La situazione igienico-sanitaria è molto grave”, dice Cavalletti. “C’è un altissimo rischio di epidemie anche a causa del fatto che moltissimi cadaveri sono ancora sotto le macerie dei palazzi bombardati”. Ora l’emergenza riguarda anche i centri di accoglienza per gli sfollati, che sono ormai al collasso.
Servono alimenti e medicine
“Le persone a Gaza stanno già morendo”, osserva con dolore il rappresentante di Caritas Italiana. A pagare il prezzo più alto sono le categorie maggiormente vulnerabili: malati, anziani, disabili. Molti hanno bisogno di medicinali che non ci sono. Caritas Gerusalemme, attiva a Gaza con operatori locali, ha definitivamente sospeso le proprie attività che erano concentrate soprattutto attorno ad un centro sanitario e alcune cliniche mobili. “Stop anche alla distribuzione di kit con generi di prima necessità e medicinali”, precisa Cavalletti a proposito delle ultime iniziative portate avanti. Adesso quasi nulla è più disponibile nella Striscia. Praticamente non ci sono beni acquistabili, e questo ha messo fuori gioco anche il canale dei trasferimenti bancari che Caritas Gerusalemme ha utilizzato fino ad ora.
Piano di intervento già pronto
Cavalletti ripete che è fondamentale ampliare al più presto l’afflusso di beni. Le aperture ad intermittenza del valico di Rafah non sono sufficienti. “Prima dell'inizio della guerra – sottolinea – a Gaza entravano circa 100 camion al giorno. Adesso ne hanno fatti entrare circa una quindicina ogni volta”. Gli operatori locali assistono inermi a questo dramma. “Ci chiedono aiuto per una tregua o una sospensione degli attacchi”, riferisce. Questo servirebbe a riorganizzare le cose. Infatti, il piano di intervento umanitario è già pronto per essere attivato non appena migliorano le condizioni di sicurezza. Ma è una lotta contro il tempo.
Pregare perché la guerra si fermi
Cosa possiamo fare da qui? “L’unica cosa – risponde – è pregare affinché chi ha la possibilità di fermare questa guerra la fermi” L’invito è quello di attingere a questa forza mite, seguendo le instancabili invocazioni di Papa Francesco che fin dal primo momento ha chiesto a tutti di opporsi così alla tentazione del terrorismo, dell’odio e della vendetta. “Questa è una guerra contro i civili”, prosegue Cavalletti. “Credo che Francesco ci stia dando l’esempio di quanto sia importante non mettere le etichette sulle vittime. Ci sta dicendo che bisogna mettere al primo posto la vita di queste persone. Tutto il resto passa in secondo piano, anche la politica, quindi occorre fermarsi”. Il responsabile per il Medio Oriente di Caritas Italiana, auspica inoltre che ci sia una presa di coscienza a livello educativo e civile. “L’unica speranza – conclude – è che le popolazioni prendano veramente il proprio futuro in mano delegittimando i leader che esercitano il potere attraverso la violenza”.
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