"Sinodalità e partecipazione": un contributo alla riflessione intrapresa dalla Chiesa
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Dalle Assemblee sinodali continentali è emersa con chiarezza la volontà che il modo di procedere sperimentato lungo il percorso del Sinodo, attraverso l'ascolto di tutto il popolo di Dio, penetri nella vita quotidiana della Chiesa a tutti i livelli, diventi lo stile del fare ecclesiale, rinnovando le strutture esistenti ma anche istituendone di nuove. L’Instrumentum laboris che ha raccolto i risultati della vasta consultazione e su cui sta lavorando la XVI Assemblea generale ordinaria dei vescovi propone di intervenire anche sul diritto canonico, riequilibrando il rapporto tra il principio di autorità e il principio di partecipazione. Offrire un contributo al discernimento in atto nella Chiesa a questo riguardo è l'obiettivo del volume Sinodalità e partecipazione. Il soggetto ecclesiale della missione, a cura del teologo Vincenzo Di Pilato, sacerdote, docente ordinario di Teologia Fondamentale (Facoltà Teologica Pugliese) e coordinatore accademico del Centro "Evangelii gaudium" (CEG) di Loppiano.
Teologia e diritto canonico a confronto sulla partecipazione
Il libro, pubblicato da Città Nuova editrice, contiene i contributi di cinque personalità di peso del mondo ecclesiastico e teologico a cominciare dal cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria del Sinodo, per proseguire con Severino Dianich, docente emerito di ecclesiologia presso la Facoltà di Teologia dell’Italia Centrale (Firenze); Alphonse Borras, che ha insegnato presso la Facoltà Teologica di Bruxelles, l’Università cattolica di Lovanio e la Facoltà di Diritto canonico di Parigi; il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. E ancora monsignor Piero Coda, segretario generale della Commissione Teologica Internazionale e docente di Ontologia trinitaria presso l’Istituto Universitario “Sophia”, che firma la postfazione.
"Per una reale partecipazione dei laici alle attività decisionali della Chiesa", potrebbe essere il sottotitolo del volume dove si legge: “Gli organismi di partecipazione dei laici sono segnati da una visione minimalista della consultazione ecclesiale poiché i fedeli vi hanno solo un voto consultivo” e ciò delude molti. Oppure: “Sono necessari luoghi istituzionali, organismi partecipativi che siano spazio di inclusione e di ascolto, proposta e impulso tra fedeli e i loro pastori”. E ancora, si dice che il pastore a volte sta davanti, a volte in mezzo, a volte dietro al suo popolo “perché il gregge stesso ha il fiuto per nuove vie”. Mentre si riconosce che “la deliberazione nella Chiesa avviene con l’aiuto di tutti, mai senza l’autorità pastorale che decide personalmente in virtù dell’ordinazione e del suo ufficio”. Ma ci si domanda: "Nell’atto della decisione si verifica la sinodalità ecclesiale? Se no, come fare perché questo succeda?". Nella postfazione la doppia affermazione: la sinodalità è “dimensione costitutiva” della Chiesa, e “il cammino della sinodalità è quello che Dio si aspetta dalla Chiesa nel Terzo millennio”.
Il curatore: pastori e fedeli corpo unico della Chiesa
Ai microfoni di Vatican News, Vincenzo Di Pilato ci introduce nella lettura dei diversi contributi contenuti nel volume Sinodalità e partecipazione, che erano stati presentati dagli autori nel corso del seminario tenutosi il 24 giugno scorso al Centro Evangelii Gaudium.
Professor Di Pilato, il libro che lei ha curato affronta il tema della sinodalità come stile ordinario di vita ecclesiale e come modalità decisionale mettendola a confronto con le strutture esistenti e con il diritto canonico. Qual è la finalità del testo?
Lo scopo del testo è essenzialmente quello di contribuire al dialogo primariamente teologico. Tutto nasce per rispondere alla sollecitazione che ci è giunta da l'Instrumentum laboris, dove leggiamo, in un passaggio che riguarda la partecipazione, di lavorare addirittura anche sul diritto canonico per riequilibrare il rapporto tra il principio di autorità e il principio di partecipazione. Ci siamo chiesti quindi come possiamo dare risposta a quanto emerso nel processo di consultazione del popolo di Dio in tutti i continenti, perchè alla fine di questo processo non si abbia l'impressione che vi sia qualcuno che ha parlato e qualcuno che decide a prescindere da quello che ha ascoltato, e come invece la Chiesa - come unico soggetto - , possa esprimersi nei processi anche decisionali.
Il primo contributo è quello del cardinale Grech, che tra l'altro mette in risalto il significato dell'unico battesimo in cui tutti i cristiani laici, sacerdoti, vescovi trovano pari dignità. Ci spiega l'importanza quanto sottolinea il cardinale?
Essenzialmente, se si prende in mano la Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, la Lumen Gentium, vediamo che lì c'è un passaggio che è fondamentale sul rapporto che c'è tra il sacerdozio comune dei fedeli e quello ministeriale, cioè quello gerarchico. Nella Costituzione si dice, evidentemente, che vi è una differenza tra i due. Però c'è un passaggio che affascina tantissimo e sul quale non si è riflettuto forse abbastanza non soltanto dal punto di vista ecclesiologico ma anche dal punto di vista canonistico, e cioè che pastori e laici pur essendo differenti, sono ordinati l'uno all'altro. Il che significa che non possono essere considerati separatamente, ma ciascuno vive per l'altro e al servizio dell'altro, sono un dono l'uno per l'altro. Ora, che cosa significa realmente nel Codice di diritto canonico, cioè nella vita concreta della Chiesa, questo essere ordinati l'uno per l'altro? Il cardinale Grech riprende una concezione profondamente legata alla tradizione, ma anche aperta, come vuole il Concilio Vaticano II nella sua attuazione, il fatto cioè che ciascun battezzato gode di tutte le prerogative di Cristo e cioè è sacerdote, profeta e re. Come esercitano questi tre uffici il laico e la laica, il religioso, la religiosa, i preti, i diaconi, i vescovi, il Papa? Come coinvolgere tutti questi membri nei processi decisionali con la parola che troviamo in questo Sinodo: partecipazione? Questo è il punto su cui il cardinale ha voluto porre la sua attenzione. Se tutti abbiamo questo sensus fidei, questo fiuto nella fede, il luogo eletto in questi anni da Papa Francesco, ma già da Paolo VI, dove esso si esprime è il Sinodo.
Guardando alla vita concreta ci accorgiamo che non tutto è semplice e il secondo contributo tocca il tema dell'autorità e della partecipazione in particolare dei laici riguardo ai processi decisionali. Che passo in più facciamo con questo secondo testo?
Il professor Severino Dianich richiama costantemente l'attenzione al fatto che la Chiesa è un corpo, certamente nella varietà dei ministeri e dei carismi, ma come questi ministeri e carismi interagiscono tra di loro, cioè appunto come corpo. Per cui il secondo contributo ha un taglio prettamente ecclesiologico.
Nei successivi interventi si guardano a come si prendono le decisioni nella Chiesa e si analizzano gli organismi di partecipazione. Si parla del binomio "consultivo-deliberativo" che, si dice, non è adeguato ad attuare la sinodalità nella Chiesa. E il cardinale Coccopalmerio fa un'analisi molto interessante a questo riguardo. In sintesi, che cosa si può dire?
Ecco, nel libro secondo del Codice di Diritto Canonico vi è certamente il riferimento alla partecipazione dei fedeli, in particolare i laici, alla vita della Chiesa e i luoghi dove si manifesta questa partecipazione dell'unico corpo della Chiesa è il Sinodo dei vescovi, il Sinodo diocesano e poi il Consiglio pastorale parrocchiale, quello diocesano, il Consiglio presbiterale. Ora, il dubbio che emerge di solito dal popolo di Dio è questo: ma dopo tutta questa consultazione chi deciderà alla fine? Come avviene nel Consiglio pastorale parrocchiale, per esempio, dove alla fine è il parroco che prende la decisione. Ecco, si ha l'impressione, a volte, che la consultazione produca più frustrazione, quasi una sorta di sensazione di inutilità. Come possiamo esprimere insieme questo atto della decisione dell'unico soggetto della Chiesa che è appunto Cristo stesso che vive nella Chiesa? In questo volume credo che vi siano a questo riguardo delle grandi intuizioni da parte dei relatori.
A proposito del prendere le decisioni, e quindi della possibilità di esprimere un voto, è la prima volta che nell'Assemblea sinodale anche le donne che vi partecipano potranno votare. È un passo avanti riguardo a ciò che abbiamo detto finora?
Direi proprio di sì. Il tentativo di questo volume è proprio quello di mettere in dialogo teologia e diritto canonico. Quindi questo voto delle donne al Sinodo, evidentemente voluto dal Sommo Pontefice, è certamente qualcosa di nuovo, di profetico. Quanto questo è diventato una prassi ordinaria nelle nostre Chiese locali e nella nostra vita ordinaria di Chiesa? Io credo che da questo punto di vista, come chiede anche l'Instrumentum laboris, bisogna lavorare molto. Il documento sinodale invita anche a creare eventualmente nuove realtà dove ciò appaia necessario per le esigenze della vita della comunità. La possibilità del voto per le donne credo vada in questa direzione.
Monsignor Piero Coda nella postfazione delinea la Chiesa del futuro sottolineando che tra comunione e missione - che è il titolo del Sinodo in corso - è stata posta la parola "partecipazione", all'unica missione della Chiesa. È il cammino che Dio vuole per la Chiesa del terzo millennio...
Questa postfazione è piuttosto ricca e densa: spesso, dagli anni '80 in poi abbiamo detto "comunione e missione", "comunione e missione", quasi come una sorta di mantra. Questa parola partecipazione ha un peso enorme, perché una comunione che non sappia ascoltare le singolarità di ciascuno, dando peso a quel sensus fidei sotto l'azione dello Spirito Santo che tutti abbiamo ricevuto in virtù del battesimo, non è autentica. Partecipare in questo caso è cercare di capire quale tipo di relazione dobbiamo costruire e mettere in atto nella Chiesa, ancora meglio qual è la qualità della relazione che dobbiamo porre all'interno. Piero Coda comincia con una citazione molto suggestiva di Papa Francesco, in cui il Papa dice che "nella realtà che denominiamo sinodalità possiamo localizzare il punto in cui converge misteriosamente ma realmente la Trinità nella storia". Da qui l'autore sviluppa tutta la sua postfazione sostenendo che noi possiamo andare avanti veramente uniti solo se testimoniamo in questa comunicazione e relazione di qualità, la realtà dell'essere un corpo solo, quel Cristo che vive come Chiesa. Ecco allora quella che nell'Instrumentum laboris viene chiamata "la conversazione nello Spirito": questo conversare, questo incontrarci e comunicare con la parola, che cos'è? È appunto nello Spirito del Signore risorto che mette in atto delle relazioni che non sono relazioni qualunque. Il Papa lo ha ripetuto: il Sinodo non è un parlamento, ciascuno lì diventa cassa di risonanza nella propria coscienza e nella comunicazione di quello Spirito di Cristo che dice alla Chiesa oggi che non possiamo restare chiusi nelle nostre sacrestie, ma dobbiamo annunciare Cristo nella missione a cui ci ha chiamati Papa Francesco e in lui Cristo stesso.
È la dinamica trinitaria, di cui scrive monsignor Coda, che poi ha a che fare anche con la fratellanza, con l'unità della famiglia umana...
Certo, e questa sottolineatura non può che richiamare l'attenzione sull'esortazione Laudate Deum pubblicata il 4 ottobre scorso, in cui il Papa riprende quell'espressione bellissima di Giovanni XXXIII rivolgendosi "a tutti gli uomini di buona volontà". Ecco, mi pare che l'orizzonte che il Papa vede per la Chiesa è l'orizzonte della salvezza di Cristo che ha raggiunto confini che la Chiesa costantemente ricerca in ciascun uomo o donna della terra, là dove si trovi. Credo che la sinodalità quindi non possa essere soltanto un rimetterci in unità tra di noi, ma un cercare un'unità che non vive per se stessa e ci fa essere un soggetto ecclesiale che calca le strade di questo mondo come fece Gesù duemila anni fa.
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