Pizzaballa: temo una guerra molto lunga, si lavori a una tregua
di Roberto Cetera
La condanna della violenza, in ogni sua forma, la necessità di lavorare ad un cessate il fuoco e, soprattutto, fare in modo che le armi vengano messe a tacere per permettere di “ascoltare le altre voci”. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, è addolorato, ma non del tutto stupito dell’orrore in atto in Israele e a Gaza, perché da tempo, lui stesso, aveva previsto una escalation di tensione, seppur non fino a questo punto. Il neo porporato, rientrato ieri a Gerusalemme, teme che la guerra si rivelerà molto lunga almeno fin quando non si affronterà la questione palestinese.
Eminenza, lei è riuscito a rientrare a Gerusalemme. Cosa ha visto? Quali sono le sue impressioni?
Sono riuscito a rientrare solo ieri sera e anche abbastanza rocambolescamente, con l’aiuto delle autorità civili e militari, sia israeliane che giordane, perché sono entrato attraverso la Giordania. Ho trovato un Paese spaventato, stupito per quanto sta accadendo Si attendeva certo una crescita della violenza, ma certo non in queste forme, in questa estensione e con questa brutalità. Ho trovato anche tanta rabbia e tanta attesa di sentire una parola di orientamento, di conforto, e anche di chiarezza su quanto sta accadendo. Insomma, ho trovato un Paese cambiato moltissimo e immediatamente.
Ha notizie specifiche sulle condizioni della comunità cristiana a Gaza?
Sì, stanno tutti bene. Alcune famiglie hanno avuto le case distrutte, ma sono in salvo. Sono tutti riuniti nei locali della parrocchia e della nostra scuola, supponendo che queste non siano prese di mira. Naturalmente sono in grande tensione. Hanno riserve di viveri per qualche tempo, ma se la situazione di assedio dovesse continuare sarebbe un problema Per il momento siamo contenti di sapere che stanno tutti bene e che sono riuniti nei locali della parrocchia.
In molti commenti si è rilevata l’imprevedibilità degli eventi di queste ore, ma lei per mesi è andato evidenziando una progressiva escalation di violenze che avrebbe potuto degenerare in qualcosa di ancora più grave, come sta accadendo…
Sono stato purtroppo facile profeta. L’escalation dello scontro era sotto gli occhi di tutti. Ma un’esplosione di tali violenza, dimensioni e brutalità nessuno l’aveva prevista. Questo pone comunque sul tavolo una questione che era stata accantonata: la questione palestinese, che magari qualcuno pensava archiviata. Fintanto che la questione palestinese, la libertà, la dignità e il futuro dei palestinesi non verranno presi in considerazione nelle forme necessarie oggi, prospettive di pace tra Israele e Palestina saranno sempre più difficili.
Eminenza, mi rendo conto che con i combattimenti in corso sia difficile fare previsioni, ma riesce a vedere possibili scenari per le prossime ore, per i prossimi giorni?
Sicuramente è molto difficile fare previsioni in questo momento. È chiaro che non siamo in un’operazione militare, ma in una guerra dichiarata. E temo sarà una guerra molto lunga. Probabilmente la risposta israeliana non si limiterà ai bombardamenti ma ci sarà un’operazione di terra. È chiaro che siamo improvvisamente entrati in una nuova fase della vita di questo Paese e delle relazioni tra Israele e Palestina. Se di relazioni si può parlare.
Cosa si sente di dire alla comunità internazionale?
La comunità internazionale deve riprendere a guardare al Medio Oriente e alla questione israelo-palestinese con più attenzione di quella che fino a oggi ha mostrato. E deve lavorare moltissimo per calmare la situazione, per portare alla ragionevolezza le parti attraverso mediazioni non necessariamente pubbliche, perché quelle pubbliche non funzioneranno mai. Abbiamo bisogno del sostegno, di condannare ogni forma di violenza, di isolare i violenti, e di lavorare incessantemente ad un cessate il fuoco. Perché fintanto che le armi parlano non sarà possibile ascoltare le altre voci.
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