Emirati Arabi Uniti, vivere il Natale in una Chiesa universale
Marine Henriot - Dubai
Padre Tanios è stato un uomo molto impegnato nell’ultima decina di anni, da quando è arrivato a Dubai come responsabile della parrocchia di lingua araba e francese di Santa Maria. "Questa è la parrocchia più grande di tutte, la chiamiamo 'il piccolo Vaticano'", dice allegramente. A Dubai, dove vive la maggioranza dei cattolici degli Emirati Arabi Uniti, le festività natalizie iniziano alla fine di novembre, con la novena "Simbang gabi" come la chiamano i cattolici delle Filippine. Seguono poi le messe di Natale in arabo, tamil, tedesco, coreano, inglese, urdu, francese... 17 lingue e decine di dialetti, distribuite su diverse settimane, in modo che ognuno possa godere di una messa secondo la propria cultura. "A Dubai non si dorme mai, la chiesa è aperta dalle 5 del mattino alle 10 di sera, e quando arriviamo alle 5 del mattino c'è gente che ci aspetta sulla soglia", commenta il padre libanese Tanios. "Vista dall'Europa, sembra una parrocchia dinamica", aggiunge con un sorriso, circondato dai preparativi per il presepe vivente della comunità arabofona.
Una parrocchia insolita
In una città gigantesca, che conta quasi un milione di cattolici e due chiese, Santa Maria, consacrata nel 1989, e San Francesco d’Assisi, costruita alle porte del deserto nel 2000, i numeri possono dare alla testa e richiedono ai leader religiosi un senso dell'organizzazione impeccabile. Ogni fine settimana, tra le 150.000 e le 180.000 persone ricevono la comunione durante le circa dieci messe domenicali. La chiesa di Santa Maria può ospitare 2.500 persone, ma lo spazio è ben lungi dall'essere sufficiente, dato che spesso sono più di 10.000 a venire. I locali della scuola adiacente vengono utilizzati come annessi per la Messa.
La ricchezza del mix culturale
La parrocchia cattolica di Dubai è composta da immigrati, proprio come il Paese che li accoglie: negli Emirati Arabi Uniti il 90% della popolazione è straniera. “Siamo tutti stranieri", dice padre Tanios, "e questo ci mette sullo stesso piano. Il Signore stesso è straniero e noi siamo nella sua casa”. Un melting-pot culturale, molto apprezzato dai giovani francesi della cappellania. "Personalmente, questo fa aumentare la mia fede nel senso che ne incontro altre prospettive, diverse da come le viviamo in Francia", commenta Thomas, 17 anni, cresciuto a Dubai. Anche Maud, che frequenta l'ultimo anno di liceo a Dubai, ha la stessa impressione: "Vedere tutta questa diversità credo che rappresenti il cattolicesimo e il cristianesimo, e la sua varietà su scala globale", si entusiasma. Anche se la tolleranza religiosa è uno dei valori sostenuti dagli Emirati, alcuni dei giovani della cappellania della parrocchia cattolica francofona sono attenti a non fare proselitismo: "Non si dovrebbe parlare del Natale come di una festa religiosa, per esempio a scuola parliamo di 'festa dell'inverno'", spiega Valentine. "Non espongo la mia croce per strada", aggiunge Maud, giocherellando con la croce al collo. Tutti, però, salutano il lavoro di Papa Francesco nell’avvicinare i Paesi del Golfo e notano gli sforzi dei Paesi che li ospitano per garantire che ognuno possa vivere la propria fede come meglio crede. "Finché si è credenti, ciò implica il rispetto da parte dei nostri interlocutori musulmani", osserva Benoît Fabre, uno dei responsabili della cappellania, "l'importante è rispettare Dio”.
Il lusso della pace
La parrocchia è un luogo internazionale, che sta diventando un rifugio per chi ha lasciato la Palestina, la Siria o il Libano. Per padre Tanios, lontano dallo sfarzo e dal glamour di Dubai, il vero lusso è la pace. "Molte persone non possono permettersi di vivere in questa città, dove lo standard di vita è molto alto, quindi siamo qui per aiutarle. È un lusso poter vivere in pace, poter vivere la propria giornata senza preoccupazioni". In particolare, la Chiesa aiuta chi ne ha bisogno a trovare un lavoro - requisito essenziale per poter rimanere nel Paese - ma fornisce anche una presenza quotidiana, spiega padre Tanios: "Siamo un po' di tutte le nazioni, viviamo in solidarietà con ciò che accade nel mondo, siamo felici con chi è felice e piangiamo con chi piange".
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