Tornano i “pranzi d’amore” di Natale con chef e artisti in 29 carceri italiane
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Per festeggiare i dieci anni dell’iniziativa “L’ALTrA Cucina… per un Pranzo d’Amore”, l’associazione Prison Fellowship Italia onlus, in collaborazione con il Rinnovamento nello Spirito Santo e il Ministero della Giustizia hanno ampliato il numero di istituti penitenziari italiani, ben 29, nelle quali mercoledì 20 dicembre entreranno con altrettanti chef stellati e le loro brigate, spesso integrate dai detenuti stessi. Con loro moltissimi volti noti del mondo dello spettacolo, dello sport, dell’arte e del giornalismo, che serviranno un pranzo di Natale davvero speciale per chi è costretto a passarlo in carcere.
Le carceri coinvolte, con più di 4 mila reclusi
Regaleranno così alcune ore di gioia a più di 4mila detenuti e detenute e, dove è possibile, alle loro famiglie. Per questa decima edizione dell’evento, hanno confermato la loro adesione le carceri di Roma Rebibbia (sez. femminile), Milano Opera, Torino, Alessandria, Aosta, Napoli Secondigliano, Nisida minorile (NA), Salerno (sez. femminile), Eboli (SA), Aversa (CE), Avellino sez. (maschile e femminile), Ariano Irpino (AV), Bologna (sez. maschile e femminile), Castelfranco Emilia (MO), Parma, Firenze minorile, Massa, Teramo (sez. femminile), Pesaro, Castrovillari (CS), Palmi (RC), Paola (CS), Vibo Valentia, Cagliari minorile, Lanusei (NU), Palermo, Benevento minorile.
La presentazione del 19 dicembre
Oltre 40 gli chef stellati, maestri di cucina, osti o cuochi dell’alta cucina italiana che hanno accettato di mettere a disposizione la loro arte culinaria e le loro competenze. Alla conferenza stampa di presentazione, questa mattina alle 11.45 nella Sala Pia dell’Università Lumsa a Roma, saranno rappresentati da Carlo Catani, cuoco e presidente dell’associazione Tempi di Recupero. Con lui, a parlare dell’iniziativa, il sottosegretario del Ministero della Giustizia Andrea Ostellari, che parteciperà anche al pranzo di Rebibbia, Marcella Clara Reni, presidente di Prison Fellowship Italia, Giuseppe Contaldo, presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo, don Raffaele Grimaldi, Ispettore Generale dei cappellani delle carceri italiane e Salvatore Martinez, già rappresentante speciale Osce per i diritti umani e presidente di Rns. Con le musiche del duo dei Jalisse, vincitori del Festival di Sanremo 1997, che il 20 dicembre saranno nella sezione femminile del carcere romano di Rebibbia.
Più di 1200 volontari a servire, e molti volti noti
A servire a tavola i pranzi stellati e ad animare gli incontri, insieme a loro, accanto a 1200 volontari, decine e decine di artisti e personaggi del mondo dello sport e del giornalismo, tra i quali Giovanni Caccamo, Paolo Mengoli, Antonio Mezzancella, Marco Giallini, Edoardo Bennato, Gian Luigi Nuzzi,Sabrina Scampini, Nunzia De Girolamo, Raimondo Todaro, Marco Capretti, Little Tony Family, Alda D’Eusanio e Rossella Brescia. “L’errore è errore, il reato commesso rimane reato ma la dignità dell’uomo rimane inviolabile – ricorda, la presidente di Prison Fellowship Italia Marcella Reni - con questi pranzi, dove i “primi” servono gli ultimi, noi vogliamo sottolineare questa grande dignità che nessuno può togliere. Questa vicinanza, queste dieci edizioni di ‘alta cucina’, che è anche ‘altra cucina’ per l’obiettivo d’amore che persegue, serve anche a noi. Serve a tutti noi per ritrovare quello spirito di bene che deve caratterizzare il nostro Natale”.
Le novità della decima edizione
Tra le novità di questa edizione dei Pranzi di Natale, il contributo economico di un istituto scolastico, il Liceo classico“Bernardino Telesio” di Cosenza, che ha raccolto e devoluto la quota di mille euro per coprire parte delle spese dei Pranzi nella Regione Calabria. Inoltre, per la prima volta, il Pranzo di Natale sarà servito, nel carcere di Torino, alla sezione dei “sex offender”, di detenuti, cioè, che hanno commesso crimini a sfondo sessuale, solitamente reclusi in aree isolate e protette. Sempre a Torino, oltre ai comici, si esibiranno per la prima volta gli Stardust, un gruppo musicale nato dal progetto “La Musica che gira dentro”, sviluppato con alcuni detenuti dell'Istituto. I costumi e le scenografie sono frutto del lavoro di un secondo progetto, il “Laboratorio Riuso dello Scarto” che ha coinvolto altri reclusi. Nella sezione femminile della Casa circondariale di Teramo, la giornalista Lisa Di Giovanni, in collaborazione con Fabio Gimignani, della Jolly Roger Editore, omaggerà le detenute con libri di saggistica, romanzi, thriller. Un dono, dunque, che diventa anche strumento di formazione e crescita personale. Inoltre, come direttore de “La Finestra sul Gran Sasso”, Lisa Di Giovanni regalerà alle donne dell’istituto delle copie del semestrale.
A Bologna lo chef La Mantia cucina con cibo recuperato
Infine a Bologna, nel carcere della Dozza, con l’intervento di Andrea Segrè, ordinario di Economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile all’Università di Bologna, i Pranzi di Natale diventano anche un’occasione per sensibilizzare sul tema dello spreco alimentare. Le portate infatti, verranno realizzate dallo chef Filippo La Mantia in parte con il cibo recuperato dagli sprechi, grazie alla campagna pubblica di sensibilizzazione “Spreco Zero”, un progetto di Last Minute Market-Impresa Sociale, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari (Distal) dell’Università di Bologna.
La testimonianza di un cuoco che ha conosciuto il carcere
Mentre sta dando gli ultimi ritocchi al menu del pranzo stellato che ha pensato per i detenuti del carcere bolognese, Filippo La Mantia, apprezzato chef palermitano titolare del ristorante milanese che porta il suo nome, classe 1960, racconta a Vatican News come da giovane fotografo di cronaca nera, negli anni più bui delle stragi di mafia, è diventato cuoco. E primo ispiratore, nel 2014, dell’iniziativa “L’ALTrA cucina, per un pranzo d’amore”. Nella Palermo insanguinata dalla guerra della mafia allo Stato, uscirono dalla sua reflex di 21 enne di belle speranze, molti degli scatti di via Carini, dove furono trucidati il generale Dalla Chiesa e sua moglie. Ma coltivava anche, fin da adolescente, la passione per i fornelli.
La Mantia: il cibo in carcere ti riporta a casa
Quattro anni dopo l’agguato a Dalla Chiesa, nel 1986, la mafia uccise anche il vicequestore aggiunto Ninni Cassarà e La Mantia viene coinvolto nell’indagine. Gli investigatori scoprirono che i colpi che avevano freddato Cassarà erano partiti da un appartamento di cui lui risultava essere l’ultimo affittuario registrato. Solo che il fotoreporter aveva lasciato quella casa 8 mesi prima. Ma nella Palermo sotto assedio, questo fu appurato solo dopo sei mesi, che il 26.enne Filippo trascorse nel carcere dell’Ucciardone. Racconterà poi di essersi fatto forza “grazie al sogno degli odori e sapori familiari”, con i pacchi di cibo che gli arrivavano dai suoi genitori, e cucinando per se e gli altri 11 compagni di cella. Fino all’ arrivo, alla vigilia di Natale, dell’ordine di scarcerazione firmato da Giovanni Falcone, del quale Cassarà era stretto collaboratore nel pool antimafia. Da lì parte la nuova vita dello chef La Mantia: il primo ristorante tutto suo nel 2002, “Zagara” a Roma, poi un resort in Indonesia, il ritorno nella capitale con “La Trattoria”, una tappa a Porto Cervo. Di nuovo a Roma cucina per capi di Stato e rock star, ma nel 2015 si sposta a Milano dove apre il “Ristorante La Mantia”. Tra i suoi successi la cena di gala del 7 dicembre 2017 per la “prima” del Teatro alla Scala. Ecco la sua testimonianza a Vatican News.
È molto bello che la scintilla per tutto questo, l’iniziativa “Un pranzo d’amore” per i detenuti, sia venuta da una sua brutta esperienza, che però lei ha saputo valorizzare…
Sì, era sempre un mio sogno, un desiderio, dato appunto che sono stato, per sbaglio, un detenuto, quindi ho potuto vedere quello che succede dentro. Il cibo è fondamentale per i carcerati, perché ti riporta a casa, ti riporta a momenti di felicità, soprattutto perché le festività sono caratterizzate, nel Sud Italia soprattutto, ma in tutta la penisola, dalla tavola imbandita, con i parenti, i figli. Quindi bisogna assolutamente far sì che persone come me, come noi chef, partecipino in maniera totale a un'attività di questo tipo. Cioè bisogna venire nelle carceri, incontrare le persone, cucinare per loro e io da cuoco ormai lo faccio da tantissimi anni.
Il 24 dicembre 1986 per lei è stato un bel giorno, grazie anche al giudice Falcone…
Si, non me l'aspettavo! Mi ricordo quella mattina come se fosse stamattina. Mi vennero a chiamare e mi dissero: “Guardi che lei sta per uscire”. Era il 24 dicembre, Falcone aveva firmato appunto la mia scarcerazione, ed è stato molto emozionante. Anche se, l'ho sempre detto, se potevo uscire il 25 lo avrei fatto, perché il 24 a pranzo avevamo organizzato appunto il pranzo di Natale, dove io ero anche protagonista, e quindi questa cosa un pò mi è mancata.
Erano i pacchi che le arrivavano dalla sua famiglia, con gli odori delle pietanze che contenevano, a stimolarla poi a cucinare all'interno della cella per altre 13 persone. Era così?
Diciamo che facevamo tutto insieme. Io ho imparato tanto da alcuni colleghi di cella, ovviamente molto più anziani di me, perché avevo 26 anni, c'era gente che veniva anche dai paesi, dalle borgate che aveva con cibo un bellissimo rapporto. Io guardando loro mi sono veramente appassionato alla cucina.
E dopo ho voluto donare quello che aveva imparato a chi era ancora in una cella. Ha iniziato già dal Natale successivo a ritornare in carcere a cucinare?
Subito no, perché non ero ancora nessuno e “mischiato con niente”. Perché purtroppo solo quando uno raggiunge una notorietà poi la gente ti cerca. Invece in quel primo periodo, nel silenzio più totale, pensavo anche alle famiglie dei carcerati. Quindi andavo durante le festività fuori dal carcere e davo loro delle cose da portare dentro, oppure mi occupavo della comunità di fratel Biagio Conte. Da lì ho iniziato veramente tantissimi anni fa: andavo a fare la spesa a Natale e nutrivo tutti gli ultimi che lui raccoglieva nella sua comunità.
Ma è stato facile coinvolgere i colleghi chef in questa esperienza, in questa avventura del Pranzo d’Amore, dal 2014?
Non ho mai avuto il problema di insistere, perché loro hanno capito il piacere di adoperarsi per questa tipologia di attività. Comunque noi cuochi già facciamo tante attività di questo tipo, anche per le associazioni che si occupano di bambini malati, per quelle che si occupano di malattie. Il cibo serve a questo: serve a creare benessere, sia a livello emotivo che a livello, in quel caso di raccolta fondi per acquistare attrezzatura per gli ospedali. Ed è una cosa che facciamo da sempre in tantissimi.
Quale dei piatti che ha cucinato potremmo replicare nelle nostre famiglie nei giorni di festa?
Tutti, io faccio solamente cibo che si può replicare a casa. Non ho una cucina da scienziato, nel senso che io compro cose e le trasformo, quindi couscous, verdure, pasta con condimenti a crudo. L'importante è avere della materia prima buona, tutto qua.
Quindi questa esperienza nel carcere che cosa le ha lasciato, a parte la passione per la cucina? Quando lei torna in un carcere ricorda l’ingiustizia che ha subito?
Era un periodo storico di Palermo dove io sono caduto in quel calderone: io non la vedo come un'ingiustizia. L’ingiustizia è quando qualcosa è voluto: perchè ti devo fregare a prescindere da tutto. Lì è successo tutt’altro, e io l’ho preso come un viaggio, come un’esperienza. Non ho colpevolizzato mai nessuno, assolutamente. E’ successo a me come poteva succedere ad altre 100 mila persone nel mondo, come è successo a tanta altra gente, per carità, quindi mai lamentarsi. Mi è successo, ne ho fatto tesoro, ho incamerato tante nozioni, sono cresciuto mentalmente. Mi è servito, insomma, perché da ogni brutta esperienza può nascere una bellissima esperienza, che poi è stato il mio percorso con la cucina. E anche nella sensibilità di percepire i bisogni degli altri.
E questa esperienza le ha dato anche la forza di resistere nelle difficoltà recenti? Il suo ristorante ha dovuto chiudere durante la pandemia…
E’ ovvio che tutti noi abbiamo avuto tantissimi problemi, però per carità, c'è gente che non c'è più, quindi l'importante è che io sono qui a parlarne, godo di ottima salute sino a questo momento. Il lavoro in quel periodo è andato giustamente a rotoli, perché ovviamente il mondo dello spettacolo, della ristorazione, tantissime attività hanno avuto problemi. Abbiamo chiuso, abbiamo riaperto, ci siamo ristretti. E’ cambiato tutto, è cambiata anche la mentalità di chi fa questo lavoro e dei lavoratori. Non si vogliono più sacrificare e forse hanno ragione. Noi della mia generazione, invece, siamo ancora quelli che battiamo chiodo.
Forse i tre o quattro che vorrebbe coinvolgere nel suo ristorante dal carcere di Opera, quelli avranno voglia di lavorare. Ci racconti dell’esperienza che vuole fargli fare…
È ovvio che chi purtroppo è ergastolano ha un'energia dentro che sta per esplodere, per mettersi in discussione, per mettersi nuovamente nel giro del lavoro. Non si possono fare dei paragoni tra la gente che vive in maniera normale la vita, e gente che da 30, 35 anni vive recluso. Quindi vediamo quello che succede. Per il mio ristorante saranno i primi, ma vedremo. Ancora devo finire di preparare il progetto, parlare con loro, incontrarmi con gli assistenti sociali. Ma io ci sono, se ci sono le opportunità lo faccio con super piacere, assolutamente.
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